mercoledì, gennaio 28, 2015

Jook



Un nuovo articolo a cura di ANTONIO ROMANO.

JOOK
a different class


Proiettiamoci nella prima metà degli anni ‘70, in quel periodo forse poco approfondito dal punto di vista “sottoculturale”, nel quale gli skinhead a Londra erano pressoché spariti ed i superstiti avevano un look composto da basettoni, capelli che cominciavano ad allungarsi fino a lambire le spalle, pantaloni larghi, colletti giganti, e la colonna sonora di un tipico teenage rebel della working class era il funky, il roots reggae ed il glam rock.

Siamo in Scozia.
C’è Ralph Kimmett, detto Ian, che lavora come pubblicitario ma scrive canzoni e vorrebbe formare una band; c’è Trevor White, chitarrista, che dopo lo scioglimento della sua band, vorrebbe formarne un'altra; poi ci sono il bassista Ian Hampton ed il batterista Chris Townson, che aveva suonato nella band psych degli John’s Children.
Li fa incontrare quello che poi sarebbe diventato il loro manager, John Hewlett, anch’egli già nei John’s Children, al basso. Dopo le prime prove si trovano in sintonia e decidono di trasferirsi a Londra e di chiamarsi JOOK, dal titolo del vecchio brano r’n’b di Gene Chandler “Duke (pronunciato Jook) of Earl”. Questi i prodromi della nascita di una band dalla vita brevissima ma che, nonostante non abbia mai raggiunto il successo o la fama, è stata riscoperta e rivalutata grazie al recente revival mondiale della scena glam rock.

Il look per niente glitterato, ma stradaiolo, fatto di capelli dal taglio mod, maglie da rugby, bretelle e anfibi assicurò alla band un folto e fedele seguito di bootboy nei pub londinesi in cui suonavano, anche se come affermò Trevor White, “i Jook erano etichettati dalla stampa come skinhead ma eravamo rudies, non skinhead. Volevamo essere duri, ma non violenti. Volevamo solo divertirci ed esibirci per i kids della classe operaia, non solo a livello estetico ma dando loro quello che veramente volevano sentire.”

E nei loro concerti i ragazzi avevano veramente quello che volevano sentire: un rock’n’roll duro con solide radici nei 60s inglesi di Rolling Stones, Kinks, Who, chitarre alla Pete Townshend, britishness e street-appeal, brani di quelli che è impossibile non battere mani e piedi a tempo, testi di ribellione adolescenziale e ritornelli orecchiabili: quello che sarebbe stato successivamente definito bovver rock.
I Jook come band sono rimasti in attività per un paio d’anni o poco più, dalla fine del 1971 alla metà del 1974, il tempo di incidere una manciata di singoli che all’epoca ebbero scarso successo, ma che contengono delle perle leggendarie come “Bish Bash Bosh”, la auto-celebrativa “Oo oo Rudie”, “King Capp” dedicata al personaggio dei fumetti Andy Capp, di cui Ian Kimmet portava spesso una toppa sulla maglia, la bellissima “Aggrovation Place” ed il loro inno, l’arrogante e riottosa “Crazy Kids”.

La loro breve e travagliata esistenza, purtroppo per loro vissuta all’ombra del paragone con i più famosi Slade e Sweet, come quella di un sottobosco di decine di altre band del glam rock minore, fu costellata di occasioni perse e disavventure, come quando, secondo quanto raccontano, guardando la tv si accorsero che i Bay City Rollers, anch’essi scozzesi, due settimane dopo aver condiviso con loro il palco, avevano fregato il loro look modificandolo quel tanto che bastava.
Ad ogni modo, è una band che consiglio vivamente tutti di approfondire, oltretutto si sono recentemente riuniti con un concerto lo scorso agosto negli USA.
Per convincervi uso le parole del loro cantante Ian Kimmett, un po’ troppo egocentriche a dire il vero ma tutto sommato veritiere se le collettivizziamo all’intero periodo del glam/bovver rock: “Quello che avevamo in comune era l’opinione che il rock fosse diventato stagnante ed era arrivato il tempo perché una ventata di freschezza lo spazzasse via.
La pensavamo così davvero…tutti noi.
Abbiamo ispirato tutti con la nostra ribellione contro tutte le noiose morali tradizionali e le rock band del tempo.
La nostra attitudine catturò l’immaginazione del pubblico un po’ di anni prima dell’avvento del movimento punk. Abbiamo anticipato tutto questo.”


18 commenti:

  1. Questo è il look classico degli adepti del Wigan Casino

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  2. Credo fossero molto Tottenham oriented

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  3. Pettinature che ricordano vagamente il primo look dei Jam... sound molto tipico di quel periodo.Elton John aveva registrato un pezzo molto stile loro, "Saturday night's alright for fighting".... altro brano anthem per gli Hooligans del periodo... Paul67

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    1. ha ha ha ha ha vero, sul doppio vinile Goodby Yellow Brick Road (where the dogs of society howls!)

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    2. Tipico di Weller, modaiolo incallito

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    3. Rifatto anche dagli WHO in una grande versione

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    4. Ed Elton John rifece Pinball wizard.
      Cos'è, si nasavano?

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    5. Questi non li conosco, visto che mi piaceva molto il pezzo di Elton (come tutto l'album) li ascolterò con piacere. A proposito di abbigliamento: vi ricordate come andavano acconciati i Bay City Rollers ?

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    6. Anche musicalmente i Bay City Rollers sono improponibili

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    7. no, dai, i bay city rollers hanno scritto grandissimi pezzi di power pop, su tutte "saturday night" a cui i ramones si ispirarono nella scrittura di "blitzkrieg bop" (tra l'altro nel 1974-75 gli, allora, sconosciuti ramones si sentivano in competizione coi ben più famosi "colleghi" scozzesi). e tantissime altre b side dei singoli, tra cui una dei miei pezzi di powerpop preferiti, "rock'n'roller"...tony ti propongo un "get back" sui bay city rollers hehehe

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  4. Mi chiedo se gruppi stile Doctor Feelgood ascoltavano questo tipo di bands( a parte il blues) Paul 67

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  5. Non li conoscevo, approfondirò la conoscenza seppur Spurs una occasione bisognerà pur dargliela. :-)

    Charlie

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  6. Tanx Antonio!
    Li avevo incrociati un sacco di tempo fa e un refreshing esaustivo come il tuo è sempre molto interessante..
    Ah nientemeno che il John's Children Drummer!
    E per la loro storia,uguale a tante altre rimene il detto "mors tua..."
    KTF
    C

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