martedì, settembre 30, 2014

Il meglio del mese. Settembre 2014



Nella foto: un Muhammad Ali ultra cool nei 60's.

Quasi alla fine del 2014 un po’ di nomi che finiranno nella top 10 di fine anno: Damon Albarn, Sleaford Mods, Sharon Jones and the Dap Kings, Ty Segall, Benjamin Booker, The ghost of a saber tooth tiger, Bob Mould, Jack White, Lisa and the Lips, Pete Molinari, St.Paul & the Broken Bones, Hypnotic Eye, Quilt, Nick Pride and the Pimptones, Temples, Real Estate, Kelis, Stiff Little Fingers, Ian Mc Lagan, The #1S, Ty Segall, John Steel Singers, Blonde Redhead , Robert Plant, Sean Rowe, Goat, Leonard Cohen, Wanton Bishops.
Tra gli italiani Eugenio Finardi, Bologna Violenta, Steeplejack, Gli Illuminati, Bastard Sons of Dioniso, No Strange, Jane J’s Clan, Link Quartet, Nada, Monkey Weather, Plastic man, Guignol, Mads, Sick Rose.


ASCOLTATO
SICK ROSE - Live in studio EP
I Sick Rose rinnovano la collaborazione con Dom Mariani (DM3 – Stems) che già aveva curato la produzione artistica degli ultimi due album della band torinese ('Blastin' Out' e 'No Need for Speed') che stavolta compare in veste di musicista e seconda voce. Interamente registrato dal vivo in studio l’Ep va alla scoperta di oscure ed entusiasmanti gemme power pop perdute negli anni ’70 ‘n giro per il mondo.
“Get your mind up” è uno stupendo brano tratto da un strepitoso album che nel 1970 i sudafricani The Flame realizzarono per l’etichetta dei Beach Boys (band nella quale due di loro, Blondie Chaplin e Ricky Fataar, confluiranno a breve) a cui segue “Girl on a train” degli sconosciutissimi Liverpool Echo a cui i Sick Rose danno una carica garage beat che riporta alla mente la verve che fu degli indimenticabili Prisoners.
“Lover come back to me' degli Hudson Brothers e l’incredibile melodia del ritornello di “(My girl) Mary Anne”, rivitalizzata e resa ancora più energica e travolgente, dei Spongetones chiudono un lavoro (rigorosamente e giustamente in vinile) che non si può fare a meno di rimettere in continuazione sul piatto del giradischi.

LEONARD COHEN - Popular problems
Ha da poco compiuto 80 anni ma non ha alcun problema ad incidere continuamente piccoli gioielli in cui finiscono blues, country, folk, ballate intensissime, una voce unica, una poetica superlativa, testi graffianti e profondi, attingendo senza paura anche da sonorità elettroniche e attualissime. Classe cristallina.

GOAT - Commune
Torna, con il secondo album la psichedelia di sapore sciamanico degli svedesi GOAT un mix di suggestioni kraut rock, trance, 60's, avvolgenti e travolgenti. A tratti sembrano i Jane's Addiction in coppia con i Tinariwen alla fine dei 60's !!!! Il precedente "World music" entrò nella mia Top 10 del 2012 e questo è sulla buona strada per il 2014.
ROBA NUOVA.

THE WANTON BISHOPS - Sleep with the lights on
Duo libanese, da Beirut che scorazza in medio e lontano Oriente ma non disdegna l’Europa, con un BLUES minimale da Junior Kimborough, John Lee Hooker ma con pennellate moderne tra Black Keys, Nick Cave, jack White. Sorprendenti, competenti, duri e minimali. Grande album.

SEAN ROWE - Madman
Al quarto album il cantautore new yorkese sforna un CAPOLAVORO in cui convergono Van Morrison, Tom Waits, Johnny Cash, Leonard Cohen, Willy De Ville, Muddy Waters, soul, blues, rhythm and blues, roots rock e un’intensità incredibile, sia a livello compositivo che interpretativo.
Una travolgente sorpresa.

KING TUFF - Black moon spell
Kyle Thomas alias King Tuff è al quinto album (su Sub Pop) e spara una dose letale di glam, street rock, garage, beat, punk rock, rock n roll. Brani brevi, spesso tinti anche da tocchi psichedelici e beat, divertenti e immediati.
Ottimo lavoro.

PAUL COLLINS - Feel the noise
L’ex dei The Beat con un ottimo lavoro a base del consueto beverone di power pop, rock n roll, garage beat, chitarre sporche e dirette, melodie facili e immediatamente assimilabili, ritmiche serrate, Stones, Beatles, qualche ritmo souleggiante (la versione di 2Reach ou I’ll be there”).

BLONDE REDHEAD - Barragàn
La band dei gemelli Pace (nati in Italia ma cresciuti e residenti in USA) e della bassista Kazu Makino, giunge al nono album di una carriera sempre interessante, personalissima, che li ha portati da un sound vicino, agli esordi, al noise a un mondo artistico che spazia da delicate bozze acustiche (vedi la pastorale, iniziale, title track o "The one I love") a gemme dream-pop che riportano alle visioni folk psichedeliche di Opal e Mazzy Star ("No more honey") fino a profonde immersioni nel più classico kraut rock alla Neu! ("Mind to be had").
Un album vario, intenso che li conferma tra i nomi più anomali e innovativi della scena alt rock.

ROBERT PLANT - Lullaby and the ceaseless roar
Interessantissimo album dell’ex Led Zep che lungi dal cullarsi nelle glorie passate continua a sperimentare e ad allargare gli orizzonti artistici spaziando dal folk al blues, alla musica celtica, ad esperimenti trance alle sonorità africane care a gruppi come i Tinariwen ma ci sono anche jazz, rock (curiose le similitudine con la personale visione hard blues che ha Jack White in un brano come “Somebody there”) e tanto altro a rendere questo album un sorprendente mix di creatività, classicismo e avanguardia.

INSPIRAL CARPETS - S/t
Tra i principali esponenti, nella prima metà dei 90's, della cosiddetta “scena di Madchester”, fedelmente ancorati alla tradizione 60's ma con un piglio più aggressivo e meno psichedelico..
Vent’anni dopo lo split tornano con un nuovo album che ritrova la freschezza degli esordi, proponendo brani abbastanza ispirati, ben prodotti, dove melodie di derivazione beatlesiana si intrecciano su basi tipicamente brit pop spesso incrocio tra 60's e gli Stranglers degli esordi.

NEWS FOR LULU - Circles
Al terzo album, i pavesi News for Lulu lasciano il post rock e si spostano verso un sound originale e personalissimo, che attinge in campi raramente praticati in Italia.
Dai Prefab Sprout ai Fleetwood Mac dei tardi 70's, l'Electric Light Orchestra, qua e là accenni al funk bianco dei Talking Heads e ai Pink Floyd periodo Atom Heart Mother Wings, Roxy Music, i Beatles di Abbey Road frequenti atmosfere care al soul funk di Curtis Mayfield o dello Stevie Wonder dei mid 70's.
Sorprende la maturità compositiva e il sapiente approccio agli arrangiamenti, con la capacità di riprodurre, in chiave assolutamente attuale, un sound così specifico.

LENNY KRAVITZ - Strut
Un tempo impazzivo per Lenny. Poi il declino e lavori sempre più anonimi e manieristici. come questo ultimo “Strut”. Qua e là guizzi di classe ma poca roba.

PRINCE - Plectrumelectrum
PRINCE - Art official age
Due nuovi album, l'uno solista, l'altro con la nuova band tutta femminile. La formula è la stessa: funk synth pop soul etc etc.
Tanto classe, tanto mestiere, molte atmosfere prevedibili e risapute ma alla fine sempre dignitoso.

SHAOLIN AFRONAUTS - Follow the path
Terzo lavoro per la band australiana che si muove nelle assolate lande dell’afrobeat e del funk eseguito con gusto e grande perizia tecnica. Tanto groove e ritmi avvolgenti anche se alla fine il risultato suona un po’ anonimo e risaputo, nonostante i frequenti inserimenti vocali movimentino parecchio il nuovo album.

SUPERTEMPO - 29
I veneti Supertempo accedono al secondo album con un piglio rock n roll diretto, scarno, semplice ed urgente che accorpa le varie varianti in tal senso (beat, punk, power pop, garage), scodellando alla fine una serie di brani brevi (con un’unica eccezione nei 6 minuti di “8 hours man”) tra Libertines, Velvet Undergound, Undertones, primi Rolling Stones e Pretty Things, Milkshakes. Immediato ed essenziale.

LE IDI DI MAGGIO - Mokajena
Esordio degli ex Skaouts con la nuova ragione sociale Le Idi di Maggio.
“Mokajena” è un album in cui a prevalere è l’amore per i ritmi in levare tra ska e rocksteady e una poderosa sezione fiati a tessere le fila degli undici brani.
Ma non mancano virate verso forme cantautorali e contaminazioni varie che ampliano parecchio gli orizzonti espressivi della band. Tra gli ospitiCisco (ex voce dei Modena City Ramblers) e Oskar (Statuto).

ASCOLTATO ANCHE
TRICKY (trip/hip/hop con anche episodi blues e reggae, come sempre tutto nerissimo), KAREN O (album solo della voce degli Yeah Yeah Yeah’s, intimista, minimale etc...inutile). TWEEDY (Jeff Tweedy dei Wilco con il figlio in un album di ballate dal sapore roots, belle e gradevoli ma che non lasciano segni particolari), SARAH JANE MORRIS (tra funk soul e musica africana, un ottimo album e una sempre gran voce), KAT EDMONSON (retro pop soul di sapore 60’s, un po’ Winehouse, un po’ Del Rey. Gradevole), EX HAX (dagli USA tre donzelle alle prese con un punk rock ’77 tra Ramones e Buzzcocks molto piacevole)

LETTO
Antonio Tabucchi - Sostiene Pereira
Un ottimo libro, intenso, spesso divertente, anti fascista, che celebra il riscatto dell’ “indifferente” giornalista Pereira contro la dittatura Salazarista in Portogallo, con un gesto finale che ne salta il coraggio e la determinazione nello schierarsi contro l’ingiustizia e l’oppressione. Bello, scorrevole, appassionante.

COSE & SUONI
Lilith and the Sinnersaints
Una sola data per l’autunno il 7 novembre ad Acqui Terme (AL) al “Bar Dante”.
Poi siamo solo in studio di registrazione per il nuovo album.

Sabato 11 ottobre al Disco Shop/Libreria Mondadori in Largo Campidoglio 19 a Poggibonsi (Siena), alle 17.30, presentazione di "Rock n Goal".
In serata Tony Face DJ Set al "Sonar" di Colle Val d'Elsa prima del concerto di NEVILLE STAPLE.

www.lilithandthesinnersaints.com
https://www.facebook.com/LilithandtheSinnersaints

Mie recensioni su www.radiocoop.it

IN CANTIERE
Finalmente vedrà la luce anche quello su Paul Weller, a febbraio 2015, per VoloLibero
In preparazione un libro sul Festival Tendenze che giunge quest’anno alla 20° edizione.

lunedì, settembre 29, 2014

Get Back. Dischi da (ri)scoprire



Ogni mese la rubrica GET BACK ripropone alcuni dischi persi nel tempo e meritevoli di una riscoperta.

Le altre riscoperte sono qui:

http://tonyface.blogspot.it/search/label/Get%20Back

ROBERTO CIOTTI - Super gasoline blues
Scelta coraggiosa quella di Ciotti che a metà degli anni ’70 decise di dedicarsi completamente al blues, in epoca di prog, glam e hard rock. Fu anche la chitarra di Edoardo Bennato, prima di esordire con questo eccellente “Super gasoline blues” del 1978 (inciso per la lungimirante Cramps Records, insieme al successivo “Bluesman”) che spazia tra il shuffle blues dei primi Alexis Korner e John Mayall e al migliore Delta Blues acustico. Aprì per Bob Marley nel mitico concerto milanese del 1980 e proseguì un’onesta carriera, sempre un po’ di nicchia ma che lo portò a comporre le colonne sonore di Marrakech Express e Turnè di Salvatores.
E’ scomparso a 60 anni lo scorso anno e riscoprire un album del genere restituisce tutta la freschezza e l’immediatezza del suo blues.

MITCH RYDER - The promise
Mitch Ryder con i suoi Detroit Wheels infiammò i 60’s con un potentissimo, infuocato, esplosivo e travolgente rhythm and blues con una carica garage in più (gli album “Take a ride” e “Breakout!” del 1966 e “Sock it to me” del 1967 sono capolavori in tal senso.
Poi una carriera a fasi alterne, tante date, album sempre dignitosi di cui l’ultimo rimane “The promise” del 2012.
Prodotto da Don Was (Rolling Stones, Dylan, Iggy, Ringo e chi più ne ha più ne metta) è un vero e proprio gioiello colpevolmente trascurato dove il Nostro sfodera ancora voce e grinta da giovincello su bassi funk rock, soul blues, rhythm and blues, splendidamente suonate e arrangiate.
Notevole.

MEMBERS - At the Chelsea Nightclub
Tra i nomi minori della scena punk inglese di fine 70’s, sempre abbastanza marginali i Members hanno lasciato alcune ottime ed importanti testimonianze sonore, soprattutto con il singolo “Sound of the suburbs”, piccolo inno inserito anche in questo album d’esordio del 1979. Debitori al primigenio sound dei Clash, parecchio contaminati (più di tanti altri) da reggae e suoni caraibici e con ottimi testi a sfondo sociale erano guidati da Nick Tesco poi diventato giornalista musicale. Tre album all’attivo prima dello scioglimento del 1983 più il recente (modesto ma dignitoso) “In Grrrland” con Rat Scabies dei Damned alla batteria che ha sancito la reunion del gruppo.
“At the Chelsea Nightclub” è buon album se contestualizzato al periodo, piuttosto datato se ascoltato oggi ma con il già citato “Sound of the suburbs”, aggressivi punk rock come “Soho a go go”, “Solitary confinement” e “Chelsea nightclub” (che ruba il riff a “My generation” !)e alcuni ottimi reggae punk, rimane un buon lavoro.

THE FLAME - s/t
Grande album del 1970 dei sudafricani Flames (che toslero una S al nome per non essere confusi con i Flame di James Brown al loro sbarco in Usa).
Prodotto da Carl Wilson dei Beach Boys (in cui due membri della band finirono di lì a poco, Blondie Chaplin e Ricky Fataar) è uno stupendo condensato di tarda psichedelia inglese, intrisa di Beatles fino al midollo (quelli più “elaborati” e “progressivi” di “Abbey Road” in particolare). Brani come “See the light” e la contagiosa “I’m so happy” sono destinati ad entrare nelle orecchie dopo il primo ascolto ma l’intero lavora è di pregevole fattura.
La band aveva comunque all’attivo già sei album incisi in patria.

domenica, settembre 28, 2014

James Turrel e il Roden Crater project



James Turrell è un artista statunitense, protagonista di uno dei progetti più arditi, strani e visionari che mente umana abbia mai creato.
Nel 1974 realizzò i primi disegni della sua opera più celebre: il Roden Crater project ovvero la trasformazione del Roden Crater, cono vulcanico estinto che sorge a Flagstaff in Arizona, in un "monumento alla percezione".

Per costruire il sito, Turrell ha comprato l'intera area comprendente il cratere e i suoi dintorni, scavando e rimodellando il luogo.
I lavori sono tuttora in corso, la costruzione attuale, finita, comprende soltanto 6 stanze, comprese quelle con le piscine, dove ci si può immergere nei riflessi delle stelle, proiettate dal cielo, e, grazie a sofisticati macchinari, ascoltare il rumore di fondo dell'Universo.

In collaborazione con architetti, ingegneri, geologi e astronomi americani, il progetto prevede la realizzazione di complesse strutture architettoniche ove sarà possibile, per il visitatore, catturare e interagire percettivamente con la luce solare, lunare e stellare.

"Un insieme di camere che funzionano come osservatori astronomici a occhio nudo, ma soprattutto come spazi d'arte in cui Turrell mostra la forza e visionarietà delle sue soluzioni spaziali.
Ogni sensazione – visiva, acustica e tattile – subisce una dilatazione senza precedenti, predisponendo il fruitore a un viaggio nell'altro da sé che, al contempo, è un profondo e misterioso periplo interiore".


http://rodencrater.com/

sabato, settembre 27, 2014

Oggi al M.E.I. di Faenza

All'interno della 20^ edizione del MEI, a FAENZA al Rossini Art Cafe, piazza del Popolo, 22 oggi, SABATO 27 SETTEMBRE

ore 17:00

STATUTO 30 la ribellione elegante
di ANTONIO "TONY FACE" BACCIOCCHI
www.facebook.com/pages/Statuto30/1450261928521072 PARTECIPA FEDERICO GUGLIELMI

Un libro che racconta i 30 di carriera di una delle più longeve ed eclettiche band italiane. una band che può permettersi di suonare con la stessa disinvoltura al Festival di Sanremo, a Cuba, allo stadio dei Granata (loro squadra del cuore) o ad un raduno mods.

ore 18:00

STELLE DEBOLI
La storia di Sid Vicious e Nancy Spungen
di DANIELE PALETTA
www.facebook.com/Stelledeboli
PARTECIPA ANTONIO "TONY FACE" BACCIOCCHI
MUSICISTA E SCRITTORE


Un libro che racconta la storia drammatica storia d'amore tra Sid Vicious e Nancy Spungen. Storia di amore, morte e droga ma anche di vite difficili

Nel frattempo a proposito di MEI dal patron Giordano Sangiorgi:
"Il settore della musica indipendente è in ginocchio e questa sarà l'ultima edizione del Mei".
Tale scelta arriva perché riteniamo di aver fatto il nostro dovere in questo arco di tempo e dopo aver compiuto diverse operazioni che hanno portato ampio giovamento al settore, attualmente dobbiamo fare i conti con altri meccanismi che si sono messi in moto sostituendoci in parte.
Occorre riuscire a rivolgersi ad un pubblico più ampio, utilizzando questo diktat come modello da perseguire in sostituzione di quelli che negli ultimi anni ci hanno fatto perdere peso".

venerdì, settembre 26, 2014

Alcolismo minorile



Il problema dell'alcolismo o comunque dell'abuso di alcool in età giovane è ormai a livelli di emergenza, soprattutto alla luce dei dati di seguito. Rimane da capire quanto il fenomeno sia più grave rispetto al passato, quando questo tipo di rilevazioni statistiche erano meno frequenti e probanti (vedi ad esempio il normale uso del vino nelle campagne anche da parte di bambini).

Secondo il ministero della Salute gli under 30 «rappresentano il 9,1% dell’utenza a carico presso i servizi per l’alcoldipendenza».
Uno su dieci.
La prima sbronza arriva sempre più presto, tra gli 11 e i 12 anni.

L’Istat dice che più di due ragazzi su cento (nella fascia 11-24 anni) si sono ubriacati almeno una volta e oltre un under 20 su tre è stato protagonista del «binge drinking»(ubriacatura immediata mediante ingestione di maggior alcool possibile nel più breve tempo).
Soprattutto al Nord a superare i limiti sono i maschi, anche se le femmine sono in aumento.

Vodka, whisky, rum e gin mischiati con bevande energetiche, soda e succhi di frutta. Shot riempiti fino all’orlo che si buttano giù in un sorso il fine settimana o durante le serate «speciali» con prezzi scontati con cocktail a tre/quattro euro e gli shot a uno.

Infine la «Nek nomination» da Facebook ovvero bere il più possibile mentre qualcuno ti filma con il telefonino per pubblicare il video in rete.
I giovani italiani restano sotto la media europea ma il ministero della Salute sostiene che «si consolidano i nuovi comportamenti di consumo più vicini alle culture prevalenti nel Nord Europa» ovvero meno vino e sempre più bevande ad altissima gradazione, sempre più fuori dai pasti e sempre più concentrati nel tempo.

giovedì, settembre 25, 2014

Shocking Blue



La band olandese famosa per il classicissimo "Venus" ma anche per gli hit minori "Love buzz", "Send me a postcard", "Long and lonesome road" ha all'attivo una serie di album spesso dignitosi e che meritano cun approfondimento e in alcuni casi un ascolto approfondito.



Shocking blue - 1968 - 6.5
L’esordio, ancora privi della voce di Mariska, è all’insegna di un tardo beat piuttosto anonimo, tinto di blues (la conclusiva, di oltre 5 minuti, “Where my baby’s gone” dall’incedere quasi Doorsiano), rhytm and blues (“Ooh wee there’s music in me”), Beatles (“What you gonna do”) e rock n roll (“Rockin pneumonia di Huey Piano Smith “Hold me hug me rock me” di gene Vincent e “That’s allright” resa famosa da Elvis, uniche tre cover tra i 12 brani) ma che contengono già splendenti le qualità compositive di Robbie van Leeuwen.



At home - 1969 - 8
L’arrivo di Mariska Veres sancisce un deciso cambio di rotta a livello creativo.
La sua stupenda voce venata di blues e debitrice alla lezione di Grace Slick si associa alla perfezione ad un robusto rock blues che si tinge di psichedelico con insert di sitar (vedi lo strumentale “Acka raga”) e che regala brani destinati a fare storia come “Love machine” e “Love buzz” (ripresa dai Nirvana) che si affiancano alla celeberrima “Venus” , uscita contemporaneamente su singolo (che vendette oltre milioni di copie in tutto il mondo) ed inserita nelle successive ristampe. Ma ci sono anche il drammatico psych rock “I’m a woman”, il robusto proto hard di “California here I come”, la stupenda “Long and lonesome road”, il mantra psichedelico di “Butterfly and I”.
Un album delizioso, pieno di grandi brani, splendidamente arrangiati e dalla grandissima personalità.



Scorpio’s dance - 1970 6.5
La band sbarca e registra a New York, lasciandosi alle spalle suoni e colori beat, abbracciando un rock più convenzionale e “americano” (vedi la rocciosa “Keep it If you want it”, vicino alle influenze West Coast con qualche sguardo insistito al country (vedi l’inserimento del banjo al posto del sitar che pure compare nel brano di chiusura “Water boy” dalla struttura complessa e il tempo dispari) e qualche velata tentazione prog.
Spicca la conturbante e tribale ballata “I love voodoo music” e poco altro.
Nelle ristampe sono state aggiunte due tra le migliori canzoni della band “Send me a postcard” e “Mighty Joe” uscite solo su singolo.



Third Album - 1971 6.5
Come abbiamo visto, “Third album” è in realtà il quarto album della band e rimane sui livelli dignitosi del precedente, senza grandi picchi di creatività.
Il panorama sonoro abbraccia il consueto rock venato di blues e spesso tinto da pennellate country, in cui spicca l’ottima “The bird of paradise”, piuttosto acida e byrdsiana (con un ritornello che non disdegna la lezione dei Mama’s and Papa’s) e il buon singolo “Serenade”. Nelle ristampe venne incluso anche il singolo (uscito l’anno prima) “Never married a railroad man”, splendida song di sapore West Coast considerata tra le migliori del loro repertorio.



Inkpot - 1972 - 6
Attila - 1972 - 5.5
Dream of a dreamer - 1973 - 5

Sempre più immersi in atmosfere americane abbracciano con maggiore convinzione le sonorità country rock, affinandole con melodie bubblegum (che sembrano precorrere di poco le caratteristiche sonore che renderanno famosi gli Abba), ma c’è anche qualche brano quasi hard rock (“I melt like butter”) e un paio di omaggi alle radici americane (“Jamabalaya” e “Tobacco road”) in “Inkpot”. Più modesto “Attila” più rockeggiante ma anche più anonimo e convenzionale, spesso debitore, più che in passato, ai Jefferson Airplane (vedi la bellissima “Wait”). In “The devil and the angel” c’è addirittura un tuffo in una sorta di proto disco rock non riuscitissimo un banale boogie rock come “Early in the morning”.
“Dream of a dreamer” non risolleva le sorti, nonostante qualche buon episodio (l’intenso blues di “In my time of dying”, la divertente title track, il rock “He’s gone”) ma l’impressione prevalente è quella di un gruppo stanco e senza più idee. Da segnalare anche un “Live in Japan” del 1972 ben registrato con i vari successi e con la dimostrazione di una grande perizia tecnica della band oltre alla conferma dell’incredibile voce di Mariska.



Good times - 1974 - 4
Robbie van Leuween, compositore e factotum della band, lascia (anche se compare come chitarrista) e il nuovo, ultimo, album degli Shocking Blue ne risente sensibilmente, perdendosi in zuccherose ballate, brani stupidini, pacchiani brani di timido hard rock. Anche la voce di Maruska sembra più opaca e meno convinta anche se fa ancora miracoli nella discreta versione di “Beggin” dei Four Season.

La band si scioglie la Veres intraprende una carriera solista di discreto successo commerciale. Torneranno con un terribile singolo, “The jury and the judge” nel 1986, un hard rock sintetico di rara bruttezza e di nuovo nel 1994 con l’altrettanto imbarazzante “Body and soul”, ballatona “rock” banale e deprecabile.

mercoledì, settembre 24, 2014

Il tempo, la musica e la storia



Uno dei consueti illumina(n)ti scritti di ANDREA FORNASARI, nome d'arte di AndBot.

I quattro tempi della musica.

Al giorno d'oggi, quando si parla di musica contemporanea, il termine non possiede più il suo significato letterale: ci si rifiuta di attribuire tale definizione a opere in apparenza ferme a linguaggi che risalgono a un'epoca anteriore.
Questa distinzione è tuttavia recente: fino al XVIII secolo ogni musica era contemporanea per definizione, poichè si ascoltavano e si eseguivano solo musiche concepite per la propria epoca.
La musica era dunque, secondo l'espressione di Roland-Manuel, un prodotto stagionale, un oggetto effimero e subito fuori moda; non ci si preoccupava di conservare la musica del passato più di quanto oggi non si pensi a rileggere i quotidiani dei giorni precedenti.

La musica è arte del tempo perchè non esiste che nell'irreversibilità del suo fluire; ma essa è tale anche in un secondo senso, giacchè, come ogni espressione simbolica, è un'arte sottomessa al tempo: muta senza posa, non cessa mai di trasformarsi.
La musica ha dunque una storia, ed è a questo punto che s'introduce una terza forma di temporalità, quella creata dallo storico dedito a raccogliere e organizzare ciò che sappiamo sia del passato sia del presente della musica.
Non possiamo tuttavia fermarci qui, poichè anche il discorso degli storici dipende dal momento storico in cui è stato scritto.
Nella musica vi sono dunque di fatto quattro tempi: il tempo musicale propriamente detto, il tempo dei cambiamenti che essa subisce in ogni momento, e infine il tempo delle nostre storie della musica - che si sdoppia in temporalità ricostruita e storicità delle nostre ricostruzioni.

Questa molteplice iscrizione nel tempo è senza dubbio più profonda per la musica che non per le altre arti; a differenza delle arti plastiche, essa non lasciava alcuna traccia prima che il sogno di Rabelais non donasse alle "parole gelate" del Quarto Libro la realtà del fonografo e del magnetofono.
D'altro canto, i sistemi di trascrizione sono comparsi più tardi della scrittura e hanno sempre avuto minor diffusione. La musica sembrava pertanto più fragile rispetto agli altri prodotti dell'attività umana, forse perchè, come sottolineava Valéry: "Essa è, tra tutte le arti, la più richiesta, la più vicina alla vita, di cui si anima, accompagna o imita il funzionamento organico".

La musica cambia, perchè il cambiamento è presente ovunque, in ogni società, comprese le più antiche di cui si possa avere conoscenza, quelle cioè che sono state definite a lungo come "primitive".
In un'epoca non troppo lontana si era soliti contrapporre società immobili e società in movimento, società fredde e società calde, società senza storia e società storiche. Il fatto è che non si distinguevano i diversi ritmi, quelli che potremmo definire i diversi regimi di cambiamento, e si confondevano indebitamente la storia delle società e la storia che veniva costruita e scritta per rendere conto di quella precedente, ovvero la storia-avvenimento e la storia-conoscenza.

Le società senza Stato, orde di cacciatori-raccoglitori e tribù di orticoltori e pastori, non sono società immobili; esse cambiano, e a volte in modo brutale, come avviene quando certi gruppi umani emigrano, il che non ha mai smesso di verificarsi fin dalla comparsa dell'Homo sapiens. Queste società mutano anche in circostanze meno drammatiche, ma a un ritmo molto più lento di quello a cui siamo abituati. D'altra parte, nessuna società umana resta completamente isolata, e fra società vicine avvengono necessariamente scambi.
Tali società hanno dunque una storia, ma non lo stesso sentimento e la stessa coscienza storica. Le differenze rispetto alla storia quale noi la conosciamo sono di due generi. Da un lato, se la società accoglie il nuovo - e come potrebbe fare diversamente? - essa non ne fa un valore; al contrario, s'ingegna a integrarlo e rispettarlo come una componente della tradizione del mos majorum.
Non si deve tuttavia sopravvalutare il livello d'integrazione del nuovo: non è raro che un gruppo ricordi come un determinato strumento musicale, una scala o uno stile siano stati mutuati da un'etnia vicina, o conservi nei suoi racconti la memoria di un'antica migrazione.
D'altro canto, questi gruppi non conoscono la scrittura e non hanno il nostro stesso sistema di rappresentazione e di scansione temporale; i sistemi di riferimento sono di ordine locale e si basano sulle ricorrenze del mondo fisico e umano ( giorno e notte, cicli lunari, eccetera), generando un tempo ciclico in base al quale si organizzano le diverse attività e si classificano in particolare le produzioni musicali.

La musica cambia, ma nel "ciclo breve" che unisce il musicista poco specializzato al suo pubblico tutto e tutti cambiano allo stesso ritmo: la continuità prevale sulla rottura.
Con la comparsa dello Stato e della scrittura, il regime del cambiamento si trasforma; anzitutto perchè appaiono gli strumenti (scrittura, calendari e cronologie) che permettono la registrazione e la classificazione dei dati, ora divenuti storici nel senso moderno del termine: l'avvenimento lascia ormai una traccia.
In secondo luogo, perchè i padroni dello Stato intendono dare un fondamento al proprio potere: essi immortalano nella pietra le proprie gesta e quelle dei loro avi.
Nello stesso tempo si forma una classe di scribi, che è all'origine delle teorie sulla musica.
Anche i musicisti si professionalizzano e tale autonomia permette loro di costruire tradizioni proprie.

In queste società statuali e stratificate il cambiamento è vissuto coscientemente e in tutti i campi della cultura si succedono repentine rotture: le prime forme di rivoluzione.
Quando i Greci tentarono di scrivere la storia della propria musica, la presentarono secondo il modello utilizzato per rendere conto della nascita e dello sviluppo della loro civiltà, il modello della fondazione.
Così come vi sono fondatori d'imperi e di città e legislatori, vi sono fondatori in campo musicale: la storia della musica in Grecia è scandita dalle due katastaseis, vale a dire dalle due "istituzioni" successive che posero le basi del sistema musicale.
Si tratta di un modo di scrivere la storia che è ancora in uso: anche noi abbiamo la tendenza a vedere lo sviluppo della musica come organizzato dalle innovazioni di alcuni geni che imprimono di colpo una nuova direzione all'arte.

Tuttavia, le rotture non vengono considerate tali soltanto in funzione retrospettiva: sono i contemporanei stessi ad avere coscienza dei cambiamenti brutali avvenuti sia in campo musicale sia nell'insieme della società e della cultura.
Nel corso del V secolo a. C., avvenne in Grecia una vera e propria rivoluzione musicale che, con la nascita della composizione anabolica, rese la melodia indipendente dall'organizzazione strofica e offrì al linguaggio musicale una nuova libertà.

Si produsse allora una situazione che non cesserà mai di ripresentarsi: da una parte gli innovatori, i rivoluzionari, che volevano cambiare e far "progredire" la musica, e dall'altra i loro avversari - bisogna già chiamarli reazionari? che, con Platone e Aristofane, condannavano quei pervertitori della gioventù.

Non avevano forse intenzione di snaturare la "vera" musica mescolando tutti i generi, come Aristofane rimprovera a Euripide?
"Lui invece porta via da dovunque: dalle puttanelle, dalle canzoni a vino di Meleto, dalle melodie carie per flauti, dai pianti funebri, dalle aria di danza"
(Aristofane)

martedì, settembre 23, 2014

Marshall "Major" Taylor



Marshall Major Taylor fu un grandissimo campione di ciclismo, uno dei primi e pochissimi ciclisti afro americani che dominò la scena dal 1896 al 1910 quando a 32 anni si ritirò.

Vinse una serie infinita di gare e di titoli (velocità, sprint e nel 1896 una “Sei Giorni” indoor al Madison Square Garden di New York) conquistando in poco tempo sette record mondiali in sole sei settimane nel 1899.
Nel 1902 sbarcò in tour in Europa vincendo 40 gare su 57 contro i campioni di Germania, Francia e Inghilterra per poi arrivare fino in Australia e Nuova Zelanda.

Si ritirò a 32 anni, stanco, come disse, dei numerosissimi atti di razzismo a cui era continuamente vittima soprattutto in Usa. Ricchissimo (aveva guadagnato sui 30.000 dollari - dei tempi! - all’anno) e famosissimo, sperperò tutti i guadagni in investimenti fallimentari (tra cui la sua autobiografia) e morì poverissimo, malato, dimenticato e abbandonato in un ospizio di Chicago nel 1932 all’età di 52 anni e fu seppellito in una tomba senza nome. Solo nel 1948 la sua salma venne tumulata con il nome e gli fu dedicato un monumento nella città di Worcester.
Durante una “Sei Giorni” si ritirò rifiutandosi di prendere, cosa comune ai tempi, della nitroglicerina (!!) per restare sveglio e avere forza per continuare.

lunedì, settembre 22, 2014

Web e violenza



Il web, Facebook in primis, si è, da un po’ di tempo, riempito di immagini, filmati, riprese sempre più violente, estreme, truculente.
Dalle decapitazioni in Iraq e Siria, ai bambini palestinesi fatti a pezzi dalle bombe israeliane, dalle teste mozzate e orrori vari in Ucraina a massacri di varia natura in Africa e SudAmerica, fino ai frequentissimi video di orrori perpetrati sugli animali (sia al macello che per puro e semplice sadismo).
Una pornografia dell’orrore sempre più frequente e compiaciuta, a parer mio inutile, dannosa, gratuita e superflua e che suggerirei di censurare.

Lo storico Michael Burleigh «Blood and Rage: A Cultural History of Terrorism» collega la violenza estrema documentata in video al porno, paragonando l’eccitazione sessuale a quella che provoca l’ostentazione di sangue e violenza.

domenica, settembre 21, 2014

"La Goccia" alla Bovisa - Milano



Da un articolo de La Stampa.

Il sito ex-Gasometri, denominato anche Officina del gas della Bovisa, o “La goccia” di proprietà del Comune di Milano, che lo ha acquistato da Montedison nel 1981 è localizzato nella parte Nord Ovest di Milano, alla confluenza delle autostrade provenienti da Torino e Varese Laghi.

L’Officina del gas della Bovisa fu progettata nel 1905 dall’Union Des Gaz di Parigi, strategicamente costruita nell’area Bovisa dove erano presenti due linee ferroviarie che permettevano il trasporto del carbone fino all’impianto di produzione del gas.

Fin dal 1908 l’area è stata caratterizzata da differenti processi produttivi, dalla distillazione del carbonfossile alla produzione di gas naturale manifatturato fornendo gas a Milano dal 1908 al 1991.
I gasometri cessarono la loro attività nel luglio 1994.L’area è grande come cento campi di calcio e contiene un bosco centenario con oltre duemila alberi ad alto fusto
«Si tratta di alberi che per portamento, conformazione, maestosità potrebbero costituire degli autentici monumenti verdi nel futuro giardino della Bovisa” (da un rapporto del Corpo Forestale di Stato).

E’ in corso una bonifica per destinare il luogo a nuove attività, da alberghi, residenze, uffici, supermercati e che immancabilmente prevede la decimazione delle piante d’alto fusto e lo smembramento dell’area.
Ovviamente il tutto fortemente contestato dai comitati di quartieri che vorrebbero una salutare e necessaria area verde nella congestione di cemento milanese.

sabato, settembre 20, 2014

Intervista a Maddalena Conni



Altri Cantautori è una rubrica che si occupa di andare a pescare nel cantautorato italiano meno conosciuto, cercando di scoprire nomi di valore e di sicuro interesse, attraverso i loro nuovi dischi e le loro parole.

Le precedenti puntate qui:
http://tonyface.blogspot.it/search/label/Altri%20Cantautori

Maddalena Conni è una giovane cantautrice piacentina con alle spalle una già lunga carriera ma che ha soprattutto un futuro splendente in arrivo. Da conoscere ed apprezzare, non ve ne pentirete.

https://www.facebook.com/maddalena.conni

https://www.youtube.com/watch?v=PZhntcu6Zd0

Il tuo album “Sto sempre in casa come Mina”, oltre ad avere un titolo geniale, è un insieme molto eterogeneo di influenze tra country, blues, indie rock, soul, addirittura reggae e grunge.
Sei ancora su queste coordinate o hai svoltato altrove artisticamente ?


Prima di tutto grazie per avermi posto queste domande!Il nuovo progetto mantiene piu' o meno le sonorita' del lavoro precedente. Le influenze sono sempre mischiate . Mi piace !! Il fatto di non rinchiudermi in un genere netto mi fa sentire piu' libera:)

Dopo l’album (del 2010) hai inciso altre cose oltre a continuare l’attività live ? So che è in preparazione il nuovo lavoro “Il morso dell’orata”.

dopo il progetto del 2010 ho iniziato a scrivere altri pezzi .. Sia in italiano che in in inglese .. Pezzi che sto tutt'ora completando .. Per quanto riguarda "il morso dell'orata" ci vorra' ancora un po' di pazienza.. La fretta mi ha sempre rovinato tutto.. ma continuo comunque l'attivita' live con i pezzi vecchi ai quali aggiungo sempre qualche cover "a modo mio" .. In arrivo anche nuove covers in italiano..!!

Quali sono le principali fonti di ispirazione della tua musica e dei tuoi testi ?
Come componi abitualmente ? Parti dalla musica o dai testi ?


.ascolto sempre tanta musica .. Di tutto davvero.. Iniziando da Elvis.. I beatles... Police... Queen.. Johnny Cash.. Aretha Franklin.. Ma anche Ben harper.. tori Amos.. lenny kravitz.. Regina Spektor.. Kaki king .. Ma dovrei davvero stare qui ore ed ore...Stili e periodi differenti.. Mi piace individuare il bello in ogni genere..non ho un metodo nel comporre.. Deve innanzitutto arrivare l'idea.. A volte e' un motivetto.. Altre una frase..

Essere artista donna ti ha in qualche modo creato difficoltà ?
Esiste ancora qualche forma di maschilismo nell’ambiente musicale italiano ?


Io non lo so se essere donna mi penalizza o mi agevola.. Voglio sperare che ci sia una parita ' almeno in questo ambito.. Abbiamo esempi di cantanti e cantantesse famosissimi..e penso che la premessa e' che fare musica da Dio e' difficile per tutti quanti.. Donna o uomo che tu sia.. Detto questo.. A volte ho riscontrato pregiudizi .. Ma me ne frego e vado avanti perche' non vale la pena ascoltare ignoranti.. Il talento non e' uomo e non e ' donna. E' talento.

Ce la si può fare a “vivere di musica” da noi ?

no. Decisamente difficile campare di musica da noi. Troppa burocrazia e troppe finte regole da rispettare. Troppa poca liberta' .. Anche.. Per dire una cosa banale.. Non poter essere liberodi suonare per strada senza fare 1500 richieste..tutti dicono che amano la musica .. Ma non sotto a casa loro!! Anche se i rumori..
A mio avviso.. Sono altri.. E i decibel da rispettare sono ridicoli.. Si potrebbe fare molto .. Anche smettere di pretendere cover e pianobar.. Senza nulla togliere.. Ma cercare di stimolare la creativita'.... Discorsi lunghi questi... Ci vorrebbero giorni

La classica lista di dischi da portare sull’isola deserta

La lista dei dischi mi manda in supercrisi.. Ne ho troppi Tony!!:) forse penso che porterei la chitarra direttamente..
Che poi tanto sull'isola non ho lo stereo:) grazie ancora per l'attenzione che mi hai dedicato!! Stay tuned:)

venerdì, settembre 19, 2014

DAVY JONES - Davy jones



GLI INSOSPETTABILI è una rubrica che scova quei dischi che non avremmo mai pensato che... Dopo Masini, Ringo Starr, il secondo dei Jam, "Sweetheart of the rodeo" dei Byrds, Arcana e Power Station, "Mc Vicar" di Roger Daltrey, "Parsifal" dei Pooh, "Solo" di Claudio Baglioni, "Bella e strega" di Drupi, l'esordio dei Matia Bazar e quello di Renato Zero del 1973, i due album swing di Johnny Dorelli, l'unico dei Luna Pop," I mali del secolo" di Celentano, "Incognito" di Amanda Lear, "Masters" di Rita Pavone, Julian Lennon, Mimmo Cavallo con "Siamo meridionali"e i primi due album dei La Bionda di inizio 70's, il nuovo album dei Bastard Son of Dioniso, "Black and blue" dei Rolling Stones, Maurizio Arcieri e al suo album "prog" del 1973 "Trasparenze", Gianni Morandi e "Il mondo di frutta candita", il terzo album degli Abba, "666"degli Aphrodite's Child, la riscoperta di Gianni Leone in arte Leonero, il secondo album di Gianluca Grignani, Donatella Rettore e il suo "Kamikaze Rock 'n' Roll Suicide", Alex Britti e "It.Pop", le colonne sonore di Nico Fidenco , spazio oggi al primo album solista dopo l'avventura con i MONKEES del loro cantante DAVY JONES.

Le altre puntate de GLI INSOSPETTABILI qui
:
http://tonyface.blogspot.it/search/label/Gli%20Insospettabili

E’ cosa nota che i Monkees furono creati in studio al fine di costruire i Beatles americani.
Il solo chitarrista Mike Nesmith aveva già competenze musicali, gli altri furono scelti come attori che sostanzialmente dovevano impersonare il ruolo di una beat band (i primi album furono sempre registrati da session men).

Alla fine si affrancarono da questa (triste se pur di successo) realtà, diventando una vera band e incidendo lavori originali e particolari. Le carriere soliste successive allo scioglimento non ebbero particolare successo, se si esclude quella di Nesmith che proseguì nell’ambito country (mentre Peter Tork provò a registrare qualcosa con Tommy Ramone e Chrissie Hynde ! ma senza successo).
Il cantante Davy Jones proseguì la sua precdente attività di attore ma infilò qua e là anche qualche album tra cui questo del 1971 molto gradevole.
E’ pop molto leggero ma con deliziose tinte beat, pennellate soul apposte con molta discrezione, ottime songs bene arrangiate con fiati ed archi e atmosfere da musical.
Curiosamente, molto curiosamente, a tratti la sua voce ricorda quella di un altro David Jones che da qualche anno aveva preso il nome di David Bowie...

giovedì, settembre 18, 2014

Northern Soul. Il film



E’ uscito in Inghilterra (per l’Italia temo ci siano poche speranze ma il 20 ottobre sarà pubblicato in DVD in lingua originale) “Northern soul”, film di Elaine Constantine (già collaboratrice della rivista The Face), più volte annunciato e altrettante volte rimandato.
Il film è la trasposizione cinematografica dell’omonimo libro della stessa Constantine che fu protagonista della scena Northern negli anni ’80.

Annunciato come una storia sulla “the youth culture that changed a generation” vede come protagonisti tra gli altri il giovane Elliot James Langridge (già sul grande schermo con una piccola parte in “Harry Potter”) e Lisa Stanfield (nel ruolo di sua madre).
Il film raccoglie la semplice storia di un giovane che scopre il Northern Soul e si identifica in tutto ciò che comporta “entrare nella scena” dalla spasmodica ricerca dei dischi, alle nottate al Wigan Casino (le scene sono state girate al King George’s Hall a Blackburn).

La colonna sonora è già disponibile in due CD con 54 brani (oltre ad un terzo con intervista alla regista e degli Extra dal film) che spaziano tra i principali gioielli Northern (da “The right track” di Billy Butler a “The night” di Frankie Valli, da “In love” di Tony Galla alla stupenda “I really love” di Jimmy Burns) ma con un po’ di preziose gemme “minori” tutte da gustare.

Pare che il tratto generale sia in chiave documentaristica e piuttosto fedele alla scena reale senza indulgere troppo in aspetti superflui (di sicuro i danzatori ripresi sanno il fatto loro e sono assolutamente della scena.
Vedi qua: https://www.youtube.com/watch?v=L__yd2LlhAE.

Abitualmente gli approfondimenti cinematografici delle scene contro/sotto-culturali sono all’insegna della superficialità e dell’approssimazione sensazionalistica.
Pare non sia questo il caso !
Follow your passion !
Find your soul !
Keep the faith
!

Il sito del film http://www.northernsoulthefilm.com

Il trailer: https://www.youtube.com/watch?v=3jJ2TVb8WSA

mercoledì, settembre 17, 2014

Il pallone da rugby



Nel settembre 2015 si svolgeranno i Mondiali di Rugby in Inghilterra
Periodicamente, in attesa, ne parleremo, tra storie, regole, aneddoti.
Partendo, a cura di ALBERTO GALLETTI, dal PALLONE da RUGBY.


Nelle foto alcuni tra i primi palloni da rugby e Richard Lydon, l'inventore del pallone...

In origine non vi era distinzione tra quello che oggi chiameremmo un pallone da calcio e un pallone da rugby in quanto non vi era differenza tra i giochi.
Per decenni in Inghilterra si giocarono varie forme locali di football ognuna delle quali si differenziava dall’altra in tutto, dalle dimensioni del campo, ammesso che ci fossero, al numero di partecipanti, al modo di segnare il punto eccetera, forse l’unico punto che univa i diversi tipi di football era la palla, che dal primo ottocento in avanti veniva ricavata ricoprendo di cuoio la vescica di un maiale.

Le origini della palla da rugby sono da cercare nella città stessa di Rugby, Richard Lydon e William Gilbert, entrambi titolari di negozi di scarpe in High Stret a Rugby, la strada che conduceva al cortile di ingresso della famosa Public School che veniva usato dagli alunni per giocare prima dell’acquisizione da parte della Scuola dei famosi playing fields, cominciarono a fabbricare palloni rivestendo appunto le vesciche di maiale con quattro pannelli di cuoio.

Dopo l’apertura dei playing fields, William Gilbert spostò, nel 1842, il suo negozio al n.5 di Matthews Steet esattamente davanti all’ingresso dei campi da gioco.
Durante gli anni 50 sia Gilbert che Lydon concentrarono la loro attività principalmente sui palloni dei quali divennero fornitori principali per i ragazzi della scuola.
Non vi erano dimensioni fisse all’epoca, le misure variavano a seconda di quella delle vesciche ricoperte, in origine avevano più una forma di prugna, quindi rotondeggiante e solo in seguito divenne più ovale, probabilmente di conseguenza al fatto che quando i ragazzi le portavano in negozio per commissionarne ‘una uguale’ questa si era schiacciata e quindi ovalizzata per l’uso ed è probabile che i due artigiani presero a farle così.
Particolare abbastanza terribile, questi palloni in origine si gonfiavano esclusivamente soffiandoci dentro grazie a una specie di valvola in argilla che collegava il lato aperto della vescica, la pratica era piuttosto disgustosa in quanto le vesciche erano per così dire ancora ‘fresche’.
Se le dimensioni della palla da calcio vennero stabilite , insieme alle regole, dalla FA nel 1862, le dimensioni della palla da rugby vennero scritte nel regolamento per la prima volta nel 1892 , che le fissò in :
lunghezza da 11 a 11 e ¼ pollici
circonferenza (longitudinale) da 30 a 31 pollici
circonferenza (in larghezza) da da 25 e ½ a 26 pollici
peso da 12 a 13 once
veniva fissato anche il numero di cuciture, non meno di 8 per ogni pollice.
Il peso fu portato a 14 once nel 1893 e successivamente a 15 nel 1931, anno in cui la larghezza fu ridotta a 24 pollici, le regole dell’ International Board del 2004 stabiliscono che la palla si compone sempre di quattro pannelli, lunghezza 280-300mm, larghezza 580-620mm in pelle o materiale sintetico adatto, venne ammessa anche l’impermeabilità.

Sostanzialmente la palla è rimasta la stessa.
Come abbiamo visto per i palloni da calcio, nel 1862 Richard Lyndon introdusse il primo grande cambiamento, sostituì la vescica con una camera d’aria in gomma vulcanizzata, sintetizzata dieci anni prima da Charles Goodyear e, nel giro di poco tempo, i palloni assunsero la più famigliare forma sferica non ottenibile, ma sempre desiderata, usando le vesciche.
L’innovazione non salvò purtroppo la signora Lyndon che contrasse una malattia ai polmoni dopo aver passato anni a gonfiare a fiato i palloni fabbricati dal marito con le vesciche di maiale molte delle quali erano purtroppo infette.
Per lo più l’aneddotica riguardante i palloni da rugby si esaurisce in Inghilterra, paese d’origine del gioco , Mr Lyndon nonostante l’affermarsi della palla rotonda continuò a fabbicare la palla ovale, della quale si può ritenere l’inventore, per i ragazzi della Rugby School ma non pensò a brevettarla e così la sua creazione finì per essere prodotta senza impedimenti da molte altre ditte che si stavano ormai specializzando nella produzione di palloni ovali.
Nel 1862 la neonata FA stabilisce le regole di quello che da lì in avanti sarà conosciuto come calcio, stabilendo anche la forma del pallone, che sarà sferica (in virtù del regolamento approvato che abolisce definitivamente l'uso delle mani), a Rugby invece si continua a giocare con la palla ovale a quattro spicchi, a usare le mani e a placcare i portatori di palla, con la scissione della RFU del 1895 e la creazione della Northern Football League (che autorizzava il pagamento dei giocatori), venne creato un nuovo regolamento che fissava i componenti di ciascuna squadra a XIII , e che il pallone fosse diverso da quello della Rugby Union misurando 27 cm di lunghezza con una circonferenza di 60cm nel punto più largo e peso tra i 383 e i 414 grammi, invece dei 410-460 di quello tradizionale.
La marca principe per la produzione di questi palloni è Steeden, ditta australiana fondata nel 1958 per la produzione di palline da cricket e palloni da rugby e che è diventata col tempo la marca n.1 al mondo, tant’è che spesso nel mondo del RL si riferisce alla palla come ‘steeden’ (un po come usavamo noi con cleenex per dire fazzoletto di carta).
Per i palloni tradizionali da rugby a XV la marca più diffusa è Gilbert che fornisce i palloni per la Coppa del Mondo, la Heineken Cup e la Triple Crown insieme ad Adidas da sempre fornitrice ufficiale della nazionale francese e ormai da decenni anche degli All Blacks, molto popolare anche in Italia negli anni 60/70 e 80 col vecchio modello bianco con calotte e logo neri.

L’avvento del professionismo nel rugby a XV ha spazzato via in poco tempo rituali legati al gioco e alle attrezzature che erano cambiate davvero poco per parecchi decenni, relegandoli nella soffitta dei ricordi e soppiantandoli con una miriade di proposte di palloni e articoli per rugbisti nella quale è diventato difficile districarsi e trovare ancora qualcosa che abbia gusto e stile, in nome di una commercializzazione senza freni e che non conosce crisi e della quale ancora non si intravedono i limiti.
Dal 1980 anno in cui il pallone di cuoio venne abbandonato in favore del sintetico impermeabile, l’industria si è sbizzarrita sul lato decorativo creando palloni di tale dubbio gusto da far impallidire quelli moderni da calcio.
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