venerdì, maggio 31, 2013

Support Rudeness



Domani in supporto a Rudeness a Grosseto.

https://www.facebook.com/events/517265131668274/

Maggio 2013. Il meglio



Tra i primi nomi che potrebbero finire nella top 10 di fine anno Charles Walker & the Dynamites, Sweet Vandals, Mudhoney, Nicole Willis, Ocean Colour Scene, Nick Cave, Johnny Marr , Jimi Hendrix, Jesse Dee e Lilian Hak e tra gli italiani Statuto, Raphael Gualazzi, Temponauts, Lord Shani, Mauro Ermanno Giovanardi, Petrina, Zamboni/Baraldi, Cut/Julie’s Haircut, Valentina Gravili, Cesare Basile e Andrea Balducci, Electric Shields

ASCOLTATO
45 giri
MARTA REN & the GROOVELVETS “2 kinds of men” / “Summer’s gone”
Elegantissimo esordio su singolo direttamente dal Portogallo per questa nuova band di otto elementi, a base di raw soul, raffinato funk e influenze ska, guidati dalla grande voce di Marta Ren (già leader dei Bombazines).
Stampa RecordKicks e due brani sono esplosivi.

CHARLES WALKER & the DYNAMITES - Love is only everything
Un superbo album da Nashville con la matura voce di C.Walker accompagnato dall’incredibile groove dei Dynamites.
Ci si muove tra soul di sapore Stax e rhythm and blues che spazia da Jackie Wilson a Wilson Pickett senza dimenticare stupende immersioni nel 70’s funk alla James Brown.

TEMPONAUTS - The canticle of Temponauts
Il secondo album per i nostri eroi della Val Tidone, viaggia sui consueti binari del miglior jingle jangle sound, dai Byrds al Paisley Underground attraverso Soundtracks of our lives, il groove chitarristico di Johnny Marr e quello di Peter Buck dei REM.
Un lavoro di grande freschezza e craetività che li conferma tra le migliori realtà italiane.

MAURO ERMANNO GIOVANARDI e SINFONICO HONOLULU- Maledetto colui che è solo
Torna Giovanardi con uno splendido progetto che abbina una folle band di suonatori di ukelele alla sua ammaliante voce alle prese con riuscite reinterpretazioni di classici “minori” della musica d’autore italiana (da De Andrè a Ciampi, via Celentano, Buscaglione e soprattutto la bellissima “Nel ghetto” di Radius).
Un piccolo gioiello di grazia e originale musicalità.
Da sentire.

JC BROOKS & the UPTOWN SOUND - Howl
Al terzo album la soul band di Detroit prosegue il suo viaggio tra i suoni black (funk, soul, rhythm and blues dei migliori) spaziando da influenze più 60’s alla Otis al Curtis Mayfiled dei mid 70’s.

THE FALL - Re-Mit
30 album !! Mica pochi eh.
E Mark E.Smith non molla continuando a biascicare invettive a destra e a manca con fare isterico e furioso su basi acide, ossessive, minimali, scarne, stonate tra garage, Captain Beefheart e punk primordiale.
C’è solo lui, l’unico rimasto sulle barricate ad inveire contro quello che non va o magari solo per il gusto di inveire.

KID CONGO and PINK MONKEY BIRDS - Haunted head
L’ex Cramps e Gun Club prosegue la sua immersione nel deep blues contaminato di garage e lo fi.
Atmosfere inquietanti, sporche e lugubri ma effetto dirompente.
Ottimo.

DAFT PUNK - Random Access Memory
Il duo francese ripercorre la storia della dance degli ultimi 30 anni da Moroder al vocoder via Philly Sound, Chic e synth pop.
Possono non piacere ma sono geniali.

DAVE DAVIES - I will be me
Torna una delle anime dei KINKS con un dignitoso album solista, molto rock tradizionale con qualche bella ballata e l’aiuto di AntiFlag, Jayhawks, Dead meadow tra gli altri.
Niente di sensazionale ma ascoltabile.

BOBBY MCFERRIN - Spirityouall
Il grande Bobby rivisita la tradizione musicale americana attraverso blues, gospel, soul, folk blues.
Album intensissimo e raffinato.
Scontato parlare della sua inarrivabile voce.

JAZZ INVADERS feat LONNIE SMITH - That’s what you say
Quarto album per la band olandese alle prese con un freschissimo Hammond jazz dalle tinte funk, classicamente tra il JTQ e Jimmy Smith.
Ospite il leggendario LONNIE SMITH all’Hammond i 10 brani volano via veloci, raffinati, eleganti, ben suonati pieni di buone vibrazioni.

CAROLINE LACAZE - En route
Brillante esordio per la soul singer francese.
In realtà non c’è solo soul ma anche ottimi brani 60’s beat, una godibile versione di “Harley Davidson” di BB, boogaloo, riff di surf.
Piacevolissimo.

LA BAND DEL BRASILIANO - Vol. 1
Band toscana che esce per la Cinedelic con una colonna sonora del film “La banda del brasiliano” del 2010.
Tra Curduroy, James Taylor Quartet, funk soul strumentale, acid grooves, tutto il miglior armamentario per una colonna sonora poliziesca con i fiocchi.

DREAMACHINE - Uh!
Dalle ceneri dei mai troppo rimpianti B-Back, arriva dalla profonda Toscana questa nuovo combo alle prese con il miglior garage punk tra fuzz, qualche escursione psichedelica (“war”) e una riuscita cover di “My friend Jack” degli Smoke.

FANCIES - EP Da Fidenza , Parma, 4 nuovi brani sospesi tra guitar rock un po‘ alla Dream Syndicate e un mood molto primi Oasis.
Um buon lavoro.

ASCOLTATO ANCHE:
NEW COOL COLLECTIVE (dall’Olanda un buon jazz fusion soul ben suonato e divertente) , BRAND NEW HEAVIES (come sempre funk soul raffinatissimo ed elegante, molto disco ma apprezzabile) PRIMAL SCREAM ((un buon ritorno di tanti buoni ingredienti dal funk agli Stones ma che personalmente non convince più di tanto), OBLIVIANS (deludente e trascurabile consueto mix di garage, lo-fi e un pizzico di soul), QUIET CONFUSION (da Verona sparano un rock n roll tiratissimo con botte hendrixiane, un po’ di blues punk e tanta elettricità) ZBONICS (buon album di funk e fusion con buone dosi di soul), SHE AND HIM (Forse un po’ troppo zuccheroso ma il mix di Supremes, Chiffons, Phil Spector, Everything but the girl, Dusty Springfield è davvero carino, godibile e avvolgente), LUMINAL (nuova stella dell’indie italiano pluri ealtati ovunque. mah), MR. BISON (il trio livornese spazia tra stoner, hard, blues, influenze Hendrixiane. Ottimi davvero), SCOUTT NIBLETT (cantautrice tra Patti Smith e PJHarvey, pesante e senza il talento dell’una e dell’altra), TREETOP FLYERS (byrdsiani un po’ Fleet Foxes, un tocco di Arcade Fire), BERMUDAS (punknroll violento e tirato per il trio ligure con riuscita cover di ”Mexican radio” dei Wall of Voodoo),PATRICK LEHMAN (mischia soul, R&B ed elettronica con buoni risultati), THE CHILD OF LOV (anche qui si mischiano influenze soul e black non hip hop, varie cose troniche e Gorillaz. Non a caso c’è Albarn ospite), GUIDED BY VOICES (continuano a definirli geni, continuano a non piacermi. per nulla), BLACK ANGELS (echi psichedelici, buon rock di stampo shoegaze, ipnotico, mediamente duro, abbastanza anonimo), NOISETTES (partirono bene con un buon pop punk soul sono finiti con un dance pop anonimo. Peccato), SHANNON & the CLAMS (rock n roll tardo 50s’, doo wop, un po’ di beat primitivo. Ricordano i Milkshakes ma non con la stessa efficacia). DOORMEN (da Ravenna tra Cure, Sisters of Mercy ed Editors. Non male), COCOROSIE (sempre trovate insopportabili non cambia il giudizio con il nuovo album)

LETTO

Mauro Zambellini - Love and emotion
La vita, non solo artistica, di Willy DeVille meritava un libro che ne approfondisse ed esaltasse l’incredibile fascino e spessore.
Ci è riuscito bene Zambellini con questo agile ed esauriente lavoro che ci restituisce la grandezza dell’uomo e dell’artista.
Consigliatissimo.

S.Deabill - I.Snowball - Thick as Thieves: Personal Situations with The Jam
Uno splendido libro per ogni fan dei JAM che si rispetti.
Gli autori danno voce a fans, crew, produttori, giornalisti, agli stessi Paul, Bruce e Rick nel ricordare non tanto i Jam ma il loro pubblico, le sensazioni ai loro concerti, “la prima volta”, quello che un gruppo musicale (in realtà non un gruppo qualunque ma i JAM) ha rappresentato nella loro vita.
Il tutto corredato da una marea di foto e curiosità inedite e di memorabilia.

Haruki Murakami - Norwegian wood / Tokyo Blues
Mi capita di rado di non finire un libro o di leggerlo svogliatamente, saltando pagine e periodi.
Più o meno è quello che è successo con “Tokyo blues”, spesso considerato un “capolavoro” ma che ho , personalmente, trovato anonimo e noioso.

VISTO The Football Factory
The Firm

Due film di Nick Love (il primo tratto dal libro di John King “Fedeli alla tribù”) sull’hooliganesimo inglese in epoca Casuals, ritratti molto fedeli e realistici della violenza cieca che imperversò ai tempi (anni 90) negli stadi (ma soprattutto fuori) inglesi. Più ironico il primo ma entrambi con finali drammatici a suggello di trame comunque di estrema violenza.
Visti in versione originale inglese grazie a Paul 67.

Fortapasc di Marco Risi
Ottimo film sulla tragica fine del giornalista Giancarlo Siani, assassinato dalla camorra nel 1985 a causa delle sue inchieste giornalistiche.

COSE & SUONI
Si torna dal vivo con Lilith and the Sinnersaints il 22 giugno a Camino al Tagliamento (Udine) e a breve di nuovo in studio di registrazione per un progetto discografico autunnale.

www.lilithandthesinnersaints.com

Mie recensioni su www.radiocoop.it

IN CANTIERE Il libro sugli Statuto alle fasi finali mentre prosegue la promozione di “Rock n Goal”.
Nessuna notizia per quello su Paul Weller.
Qualche data live estiva per Lilith & the Sinnersaints.

giovedì, maggio 30, 2013

Get Back. Dischi da (ri)scoprire



Come ogni fine mese arriva la proposta di tre album da (ri)scoprire, spaziando qua e là nel passato.

FELA KUTI - Zombie
Nel 1977 nell’Occidente musicale esplodevano punk e new wave.
In Nigeria Fela Kuti incideva il suo 27° e forse migliore e più significativo album, magnifico condensato di afro funk, ultra black, ipnotico e ossessivo con testi, come sempre, esplicitamente critici contro il potere governativo e contro i militari, dispregiativamente chiamati “Zombies” ("Zombie no go walk unless you tell am to walk").
L’anno successivo i militari assaltarono e saccheggiarono (uccidendo sua madre e ferendolo seriamente) il suo Quartier generale a Lagos, la sedicente Repubblica di Kalakuta.
Album stupendo, feroce, nerissimo.
Eccellente.

The DICKIES - The incredibile Shrinking Dickies
Tra i primissimi gruppi punk californiani i DICKIES si caratterizzarono per un sound molto vicino a quello dei Ramones e da un approccio molto scanzonato e scherzoso, mischiando punk, power pop, influenze 60’s e un’attitudine solare.
Il primo album del 1979 è quello più rappresentativo con la riuscita cover di “Paranoid” dei Black Sabbath e una serie di brevissimi, sparatissimi, brani ultra pop punk ancora freschissimi e immediati.
Il gruppo non saprà ripetersi con la stessa qualità e proseguirà la carriera (pur costellata da molti lutti) fino ai nostri giorni.
Prodotto da John Hewlett ex John’s Children.

JUNIOR WELLS - Hoodoo Man Blues
Il fulminante esordio di Junior Wells del 1965 (arminicista di Mauddy Waters e successivamente collaboratiore di Stones e Van Morrison tra gli altri).
Affiancato dalla chitarra di Buddy Guy, Wells scrive una delle migliori pagine del 60’s blues con grandi interpretazioni di “Hound dog” e di “Goodmorning little schoolgirl” e una serie di stupendi brani in odore di rhythm and blues.

mercoledì, maggio 29, 2013

Talk Talk



ANDREA FORNASARI /AndBot ci introduce al mondo poco conosciuto e raramente esplorato (soprattutto su queste pagine) dei TALK TALK.
Un mondo interessantissimo e affascinante che vale la pena di (ri)scoprire.


Chissà se ai tempi di "It's my life" Mark Hollis e soci immaginavano una seconda vita artistica totalmente estranea al mondo delle hit e al successo di pubblico: senz' altro sono conosciuti ai più per quel brano, tutt' altro che da disprezzare ma che sicuramente non poteva far presagire una virata tanto profonda come invece è poi avvenuto. Nascono nei primi anni ottanta inglesi come una delle tante band di synth-pop dell'epoca, nemmeno troppo considerati rispetto alle star più affermate come Duran Duran e Depeche Mode.
Il primo album ("The party's over", 1982) passa praticamente inosservato ed è solo con il sopracitato "It's my life" (1984) che la band trova consensi commerciali, più all'estero e in particolare in Italia che non in patria: la title-track, "Such a shame" e "Dum dum girl" sono comunque i pezzi trainanti di un buon disco che, con il senno di poi, lascia intravedere qualcosa di quello che sarà.
La debolezza di una produzione lontana da quelle spettacolari e ridondanti delle band più quotate continua a farsi sentire, ma al tempo stesso diventa anche un po' il marchio di fabbrica di Hollis: lui non è una pop-star, questo è certo, il suo basso profilo però è totalmente fuori moda in un periodo in cui è l'edonismo a farla da padrone.

Le cose iniziano a cambiare sul serio con il terzo album, "The colour of spring" (1986): il tastierista Tim Friese-Grene è ormai parte integrante dell'organico (in sostanza la band è formata da lui e Hollis) che si avvale di una pletora di altri musicisti e, in questo caso, anche di Stevie Winwood.
Il disco è eccellente, i brani si allungano e si fanno atmosferici, una sorta di trance psichedelica pervade tutto il lavoro che risulta a metà strada fra un rigurgito di primi anni ottanta e una spiritualità new age, ambientale ma ancora dotato di ottime canzoni pop: la voce di Hollis è sempre più alla ricerca di un compromesso fra la forma-canzone e i voli pindarici di un Tim Buckley.

"Spirit of eden" (1988) trova una band totalmente rivoluzionata rispetto agli esordi, i Talk Talk firmano non solo il loro capolavoro assoluto ma anche uno dei dischi più belli e originali di tutti gli anni ottanta (come minimo).
Si tratta di sei lunghe suite all' insegna di una psichedelia free-form che si avvale dei più svariati generi, dal jazz al blues, al minimalismo elettronico, fino a lambire territori di pura estasi non distanti da quelli di "Hosianna mantra" dei Popol Vuh.
Lunghi silenzi glaciali vengono interrotti da pennellate blues, da trombe appena soffiate, organo e pianoforte suonano sommessi e radi accordi, la voce di Hollis è sempre più espressiva, fra contemplazione e toni astratti: sono sei sospiri, sei capolavori che vedono all'opera quasi venti musicisti differenti "armati" di clarinetto, oboe, fagotto, corno, harmonium e tanto altro, ma nonostante il grande numero di voci, tutto è così delicato, centellinato con classe, incredibilmente armonioso e quasi dronico.
Il coro della cattedrale di Chelmsford intensifica i toni spirituali da gospel, che però non potrebbero essere più sonnacchiosi e catatonici: in un certo senso si potrebbe considerare già slo-core, senz' altro le intuizioni sono le stesse che troveremo qualche anno dopo in "Frigid stars" degli americani Codeine e poi nei Red House Painters.
I tempi del synth-pop di facile presa sembrano lontani anni luce, sebbene sia passati, in fondo, pochi anni: i Talk Talk suonano "altro".

"Laughing stock" (1991) esce nell'anno di nascita del post-rock di "Spiderland" degli Slint e della consacrazione dello slo-core: ma qui siamo dall' altra parte dell' oceano, siamo in Inghilterra e l' attenzione per la canzone pop è comunque sempre alta nonostante si tratti ancora di sei lunghi brani che spaziano fra dilatatissimi blues e scambi jazz, ritmi funerei e il tono baritono di Hollis.
E' di nuovo un capolavoro, è il completamento di un' idea di musica ambientale e spirituale che si avvale della tradizione e la trasforma: Mark Hollis non canta più la vita ma l' esistenza.
Lo stile è ormai quello di un folk trascendente aggiornato (in tempo reale, però) alle nuove direttive post-rock: i Talk Talk inventano un suono ma nessuno sembra accorgersene, in patria (la loro) si celebra l' ennesima ondata brit-pop, si pensa a far soldi in fretta e così la band si arrende all' evidenza.

Mark Hollis, tuttavia, prosegue per la sua strada realizzando l' omonimo album solista del 1998, non lontano in quanto a sonorità, agli ultimi lavori con i Talk Talk: il disco si concentra su registri blues e fraseggi jazzati marcando il tutto con le consuete pause silenziose che creano un' atmosfera carica di presagi irrisolti, temi urbani, apocalittici e notturni che si dilatano nei ritmi e poi esplodono spesso in melodie dal sapore folk-pop: l' amore di Hollis per la "canzone perfetta", in fondo, non si è mai esaurito nonostante la continua sperimentazione e la ricerca di un suono personalissimo.
Che fine ha fatto Mark Hollis? Pochissime interviste, scarse apparizioni, vita ritirata.

Note personali: un grande album come "Hex" (1994) dei Bark Psychosis trarrà non poco giovamento dalle intuizioni post-rock e slo-core ante litteram dei Talk Talk, e in modo particolare dal magistrale modo di utilizzare pause e silenzi pronte a cedere il passo a improvvise impennate tonali, creando atmosfere tese e inquietanti, una sorta di psichedelia ambientale profonda e introspettiva.

martedì, maggio 28, 2013

Intervista a OSKAR GIAMMARINARO degli STATUTO



Prosegue la serie di (volutamente) brevi interviste ad alcuni personaggi della scena musicale italiana (amici e conoscenti).

Dopo FEDERICO FIUMANI dei DIAFRAMMA (martedì 14 maggio) e al giornalista FEDERICO GUGLIELMI (mercoledì 22 maggio) proseguiamo con un amico: OSKAR GIAMMARINARO, cantante e anima degli STATUTO (che quest'anno festeggiano i 30 ann idi attività !).

Nella tua carriera e nella tua vita (due cose che spesso si sono a lungo sovrapposte) hai sempre fatto scelte molto nette e precise, strettamente identitarie (dalla filosofia e cultura Mod a quella ideologica a quella calcistica), senza compromessi e spesso in contrapposizione con il pensiero dominante.
Credi che questo ti abbia precluso certe strade o abbia frenato la tua carriera con gli Statuto?


Sicuramente avere posizioni precise preclude alcune strade, in primis quelle di posizioni opposte a quelle espresse.. e non solo.
Ma non credo che avere posizioni precise abbia frenato la nostra carriera, noi siamo ciò che siamo e non possiamo essere nient'altro.
Che senso avrebbero gli Statuto moderati invece che solo mod ??
rispetto al nostro talento artistico, abbiano raccolto molto di più e questo proprio perchè dalla nostra parte abbiamo avuto la forza del voler far conoscere e valere le nostre idee.
Nette e precise.

A Torino sei legato da un rapporto di odio e amore che emerge costantemente dai tuoi testi e dalla tua vita di strada (di cui racconti spesso sul diario quotidiano del sito degli Statuto).
Credi sia una città “speciale” (nel bene e nel male) e particolare o semplicemente una delle tante metropoli europee ?


Ogni metropoli (anche piccola come Torino) ha un'identità diversa rispetto alle altre, pur essendoci caratteristiche uguali in ognuna di esse. Il tessuto metropolitano è il terreno più fertile per nascere e crescere il Modernismo d'azione, checchè se ne dica, senza vita di strada, il Modernismo non può essere vissuto nella sua totalità.
Torino ha sulle spalle il fardello della città "feudo" degli Agnelli con annesso monopolio economico, politico, culturale.
Ecco perché si è sempre dovuta ingegnare nel creare.
Nella tecnologia, nell'arte, nella musica.
Alienati nel grigiore della metropoli costruita su misura per le necessità della fabbrica, i torinesi hanno sempre dovuto inventare e andare oltre al semplice antagonismo.
Ecco perchè la nostra non è mai stata una città razzista e l'apertura multietnica è palbabile in ogni angolo della nostra città.
La crisi della Fiat ha obbligato i padroni a cercare altre strade di produttività e Torino città turistica è quasi un'eresia, ma è forse una delle idee più geniali e possibili di questi ultimi 10 anni.

In 30 anni di carriera musicale hai attraversato tutte le sfaccettature della discografia e del fare musica in Italia.
Dall’autoproduzione e dalle piccole etichette indipendenti alle major, dai centri sociali al festival di San Remo. Credi ci sia una via di uscita dalla crisi, che sembra ormai irreversibile, della discografia ?
Secondo te si continueranno a stampare (e comprare) dischi e CD o siamo “condannati” alla “musica liquida”, ai files, agli mp3 ?


Credo che la discografia sia morta e tra poco sarà sepolta.
Lo scaricamento illegale ha distrutto il mercato della musica che è un diritto ascoltare ma chi la suona ha il diritto di poter vivere anche grazie alla musica che suona.
La rete ha abolito i supporti fonografici e l'unica idea che mi viene è che se venissero diffusi i giradischi per vinili con una vera operazione commerciale strategica e poi pubblicati i dischi solo su vinile, un po' di ripresa ci potrebbe essere.
Ma forse dico questo perchè sono di generazioni passate.
Gli adolescenti attuali credono che le canzoni si possano solo scaricare da internet o ascoltare da youtube.

30 anni di attività fanno degli Statuto uno dei gruppi più longevi e soprattutto particolari e personali della storia della musica popolare italiana, soprattutto considerando il fatto che siete sempre stati fedeli ad una idea di musica e di stile.
So che è difficile rispondere ma quanto margine di miglioramento e di evoluzione pensi che ci sia ancora per il gruppo (che a 30 anni dall’esordio ha fatto secondo me, e non solo, il suo miglior album) ?


Dipenderà tutto dalla necessità di esprimersi e dalle cose che avremo da dire.
Il modo migliore per fare Modernismo attivo in questi anni l'ho trovato componendo e suonando le canzoni degli Statuto, perchè fossero ascoltate e apprezzate da più gente possibile, abbiamo sempre cercato di comporre e suonarle sempre meglio.
Aggiungi che ci divertiamo e ci piace suonare ed esprimere emozioni e concetti con la nostra musica. Può essere veramente che il meglio debba ancora arrivare.

C’è un ambito musicale a cui ti piacerebbe dedicarti che esula da quello che hai sempre suonato con gli Statuto ?

Mi piacerebbe suonare in un'orchestra sinfonica lo strumento per il quale mi sono diplomato al Conservatorio, cioè il contrabbasso.
Suonare musica classica è sempre stato il mio traguardo professionale, dopo aver suonato a Lille, Nantes, Losanna era arivato il momento di fare il concorso per contrabbasso di fila alla Scala di Milano.
Sicuramente non avrei vinto, ma chissà se magari avrei avuto l'idoneità.
La prima audizione fu fissata nel gennaio 1992, un mese prima di andare a sanRemo con gli Statuto, non mi presentai neanche.
Di sicuro, ripeto, non avrei vinto e poi con la classica non si fa Modernismo.

Infine qualche domanda veloce: quali sono i tre brani degli Statuto a cui sei più legato ?

TU CONTINUERAI- GHETTO- RAGAZZO ULTRA' ma sono troppo poche

Quale brano avresti voluto scrivere ed avere in un vostro album ?

I testi di "Quadrophenia" degli Who e tante canzoni dei Secret Affair

I dischi che ascolti più volentieri (non necessariamente quelli che ritieni migliori) e quelli che porteresti sulla classica isola deserta,

Tutti i 4 dischi dei Secret Affair, i primi 4 dei Madness e i primi di Specials,Beat e Selecter. poi tutto il "Philly Sound"

Qualche album poco conosciuto che vorresti consigliare di (ri)scoprire

"Rhytm & Soul" dei Makin'Time

lunedì, maggio 27, 2013

I Clash e l'eterna coerenza



L’annuncio della pubblicazione in un box di CD dei CLASH contenente tutto il loro materiale rimasterizzato con l’aggiunta delle solite rarità (più o meno interessanti), DVD, ammenicoli vari e il tutto racchiuso in una confezione a forma di stereo portatile (e con l’esclusione di “Cut the crap!” ampiamente rinnegato da ciò che rimaneva del gruppo) ha sollevato numerosi dubbi in rete.
L’operazione è stata bollata come “commerciale” (il costo sarà di 150 euro) e finalizzata ad un mero discorso economico.

Cosa che in molti "non si aspettavano dai Clash”.
Il dubbio è: perchè i Clash no e , che so? , i Jam si ?

Certo, i Clash hanno rappresentato tanto anche da un punto di vista “etico” ed “ideologico” e di conseguenza ci si aspetta e si pretende una sorta di coerenza eterna.
Però sono passati trent’anni, la guerra è finita, sono in pace (uno di loro definitivamente) e Mick, Paul e Topper amministrano semplicemente un tesoro che hanno creato e di cui sono i soli depositari.
E ristampare con inediti e “confezioni speciali” è un semplice atto di conservazione e di sfruttamento (di soldi ne arriveranno sicuramente un bel po’) del proprio materiale.
Why not ?
E' la consueta pretesa di anima immacolata da parte del fan che desidera il proprio idolo come lo ha sempre immaginato o davvero i Clash non avrebbero mai dovuto lucrare sul proprio repertorio ?

domenica, maggio 26, 2013

La STORIA dei NOT MOVING - Secondo semestre 1988



L’ultimo atto della storia dei Not Moving (intesa nella sua dimensione “storica”) si consuma nel secondo semestre del 1988.
Le tensioni di cui si è già accennato sono al culmine ma si prosegue soprattutto in virtù di una serie di concerti che ci attendono e che vedranno la più fulgida incarnazione dei Not Moving da un punto di vista tecnico, suffragata da un’incredibile affluenza di pubblico, che arriverà tranquillamente alle 1.000/1.500 persone con cachet mai visti e trattamenti di prima categoria.
Compro addirittura un furgone per facilitare i trasferimenti ed evitare i soliti affitti onerosi, soprattutto in previsione di una lunga serie di concerti che si profilano sempre più numerosi all’orizzonte.

A luglio suoniamo a Borgonovo (Piacenza) con Ravings e Scrimshankers, con furibonda rissa finale tra incauti fascisti pavesi giunti a provocare alla Festa dell’Unità e compagni locali e finiti con auto sfasciata e numerose ecchimosi e ferite lacero/contuse.
Ricordo una fila di persone a piedi dalla “vicina” (un paio di kilometri) Castelsangiovanni dove erano arrivate in treno per vederci.
Poi a Pisa al “Metarock” con Boohoos e gli australiani Celibate Rifles con cui si fa notte e da cui si ricevono infiniti complimenti, a Bologna ai grattacieli Kenzo (dove Lilith vuota un bicchiere di vodka in testa a uno dei Jack Daniel’s Lovers che si era fatto un po’ troppo impertinente, a Impruneta (Firenze) con gli Avvoltoi (con cui ingaggiamo una lunghissima partita a calcio nell’afa pomeridiana che ci lascia distrutti e senza fiato) e Lonely Boys, con la partecipazione del poeta Cheyenne Lance Henson e a Rocca Scalegna in provincia di Chieti con i Boohoos e i Garbages, a Carrara con Sick Rose e Polvere di Pinguino, una mitica trasferta sarda a Tonara (Nu) dove davanti a tutta la Sardegna rock suoniamo con Wicked Apricots, Honeymoon Flowers e e Five for garage.
Lo slogan coniato da Alberto Campo alla Rai l’anno prima “Not Moving, minigonne e rock n roll” è perfetto per la stagione estiva !

Le tensioni, rivalità, rancori, antipatie svaniscono appena siamo sul palco e l’affiatamento diventa totale, si improvvisa, si suona al massimo, spesso si finisce con session varie con amici musicisti.
C’è un tiro incredibile supportato da un pubblico numeroso, da fans che si fanno centinaia di kilometri per un nostro concerto.
Le richieste arrivano da ogni parte d’Italia ma siamo spesso costretti a declinare a causa del cachet sempre più alto.
Quello che abbiamo mancato qualche anno prima sembra poter arrivare adesso.
Ma l’11 settembre (sarà il giorno che porta sfiga ?) alla Festa dell’Unità di Pisa dopo un altro eccellente concerto, dopo i locali Liars, Lilith e Severine si prendono a pugni e schiaffi, non risparmiandosi nulla.
Noi maschi le lasciamo fare per un po’, consapevoli che il gruppo è finito.
Cinque giorni dopo a Casalpusterlengo (Lodi) chiudiamo un festival di gruppi locali (presentati da Jo Squillo...) e di nuovo veniamo sommersi da una gran folla di persone a cui regaliamo un gig furioso e travolgente.
Il 24 e 25 settembre iniziamo le registrazioni al West Link di Pisa di un nuovo mini LP dedicato alla causa pellerossa con la partecipazione di Lance Henson.
La tensione è ai massimi livelli, nel caos totale portiamo a termine le basi di tre brani, poi alcuni di noi se ne vanno e proseguono gli altri ma i brani non verranno mai completati.
Il 1° ottobre al Teatro Albatros di Genova suoniamo con Ravings, Polvere di Pinguino e Steeplejack l’ultimo concerto (anche questo a favore dei pellerossa per un rimborso spese).
Una settimana dopo ci si ritrova a Piacenza a sancire la separazione.
Io Lilith e Betty Blue ce ne andiamo.
Troppe tensioni, posizioni “ideologiche” non condivise, lontananza di scopi, abitudini, stili di vita.
Seguiranno vaghi e vani tentativi di riconciliazione via lettera e telefono.
Un mese dopo noi tre incominciamo le prove con la nuova creatura TimePills, Dome e Severine ribattezzano la band Snap Dragon Fly per tornare successivamente al vecchio nome.
Ne riparleremo alla prossima, penultima, puntata.

sabato, maggio 25, 2013

Temponauts - The canticle of the Temponauts



Il lungamente atteso nuovo album dei piacentini Temponauts (il secondo dopo il gioiello d’esordio “A million year picnic” addirittura del 2007) conferma qualità, freschezza e creatività di questa nostra stupenda realtà.
“The canticle of Temponauts” viaggia sui consueti binari del miglior jingle jangle sound, dai Byrds al Paisley Underground attraverso Soundtracks of our lives, il groove chitarristico di Johnny Marr e quello di Peter Buck dei REM.

Gli undici brani sono tutti perfettamente allineati alle direttive di cui sopra ma spaziano compositivamente dall’irruenza di una grandissima “Can’t be true” alla “spaziale” (con tanto di theremin) “The march of the Martians” fino alla sorprendente e riuscitissima cover in chiave jangle pop del classico discopop degli anni 90 “I’m movin on” dei Novecento e al tocco glam/Stones di “I was born on monday”.
Una nota anche per la beatlesiana “A XXI century serenade” e per “Beautiful things” originariamente intitolata “Sueno real”, ovvero una poesia di Ferlinghetti in musica ma che non ha ricevuto il permesso dalla “City lights” di San Francisco ed è stata riscritta al volo prima della pubblicazione.
Complimenti a Pibio e la sua band, una realtà di casa a Liverpool dove ogni anno suona in parecchi locali e al Festival I.P.O. e che meriterebbe ben altro consenso in Italia.

https://www.facebook.com/temponauts?fref=ts

venerdì, maggio 24, 2013

I migliori riff di chitarra



Riprendo un vecchio post del 2009 con qualche aggiornamento e aggiustamento (alcuni mutuati dai commenti di allora). La lista è ovviamente frutto di gusti personali ed opinabili e il tuo impostato al divertimento.
E il concetto di RIFF inteso in maniera “larga” (se “Satisfaction” e “You really got me” sono evidentemente riffs più complesso attribuirlo a “My Sharona” o a “Whole lotta love” più vicini ad una sequenza di note e/o accordi).

1) “Satisfaction” - Rolling Stones
Il riff classico per eccellenza e probabilmente più conosciuto

2) “You really got me” - Kinks
Il riff di Ray Davies è meno conosciuto ma è alla pari per la sua efficacia

3) “Smoke on the water” - Deep Purple
Chiamiamolo banale, tamarro, quello che volete ma è inevitabilmente nei top.

4) “Johnny B Goode “ - Chuck Berry
Da qui è nato qualcosa che ha cambiato il mondo

5) “Smell like a spirit” - Nirvana
Ha cambiato buona parte della musica dei 90’s e riportato il “rock” negli stereo

6)“Whole lotta love” - Led Zeppelin
Hanno raramente inventato qualcosa rubacchiando qua e là nella tradizione blues ma “Whole lotta love” è ugualmente un classico indimenticabile.

7) “Seven nation army” - White Stripes
Inventare un riff “rock” dopo 50 anni è impresa da pochi

8) “Day tripper” - Beatles
Il loro miglior giro chitarristico

9) “My Sharona” - Knack
Non propriamente un riff ma in ogni caso da top 10

10) “21 century schizoid man - King Crimson
Robert Fripp al suo meglio

Seguono in ordine sparso ma con uguale importanza e dignità da top 10:
"Sweet child o' mine“ dei Guns and Roses, "Crossroads” e “Sweet home Chicago” di Robert Johnson, “I’m a man” di Muddy Waters, “Babylon’s burning” - Ruts, “Janie Jones” - Clash, “Pinball Wizard” - The Who, Heart full of soul" degli Yardbirds “Song 2” dei Blur , “Sunshine of your love” dei Cream, “Crosstown traffic” e “Foxy Lady” di Jimi Hendrix, “Roadhouse blues” dei Doors, “Rebel rebel” di Bowie, altri tre o quattro almeno degli Stones (“Jumpin Jack flash” , “Honky Tonk Woman”, “Start me up” , “Street fighting man”) , “New rose” dei Damned, "Love and happiness" di Al Green, "Psychotic reaction" dei Count Five, "Talk talk" dei Music Machine, "Wahm bam Thank you ma am"" degli Small Faces, “Wild thing” dei Troggs

giovedì, maggio 23, 2013

Addio a Don Gallo



Purtroppo lo spazio di questo blog è di nuovo occupato da un ADDIO.
Sopo Ray Manzarek (e Ronnie Splinter degli Outsiders) tocca a DON ANDREA GALLO.


Don Andrea Gallo ha mostrato quello che potrebbe e dovrebbe essere la Chiesa: in aiuto degli ultimi (ma anche dei penultimi, dei primi e dei secondi se necessario), senza banche, Opus Dei o Compagnia delle Opere, politici papponi e affaristi.
Una Chiesa per la gente e con la gente.
Ci ha provato e nel suo piccolo ci è riuscito.

"Sono venuto per servire" è un suo splendido libro che consiglio di leggere e rileggere.

mercoledì, maggio 22, 2013

Intervista a Federico Guglielmi



Prosegue la serie di (volutamente) brevi interviste ad alcuni personaggi della scena musicale italiana (amici e conoscenti).

Dopo FEDERICO FIUMANI dei DIAFRAMMA (martedì 14 maggio), proseguiamo con FEDERICO GUGLIELMI, tra i giornalisti e critici musicali più importanti ed influenti della stampa italiana, recente dimissionario dal Mucchio.

1)
Ha avuto una certa eco sul web una tua dichiarazione tratta da un’ intervista che tra le altre cose dice: "Quando ho iniziato, nel 1979, avevo ascoltato 'solo' alcune migliaia di album, ma in fondo il rock aveva poco più di vent’anni e io lo seguivo già da almeno otto. Adesso chi volesse scrivere seriamente di musica dovrebbe conoscere, quantomeno a grandi linee, molto di più: dovrebbe 'studiare' almeno un po’ quello che è successo in sei decenni e anche prima, non saltellare mezz’ora fra YouTube e Wikipedia e credere di avere capito tutto o quasi ciò che serve per buttar giù un buon articolo".
Ci ho fatto anche un post sul mio blog.
La domanda è dunque: chi scrive e disserta di musica, chi suona, ha "bisogno" di preparazione?
E l'immediatezza, l'urgenza "ignorante", l’irruenza che furono alla base del punk (e delle sue fanzines)?


Chi suona anche no, dai!
Lì, appunto, il desiderio di esprimere qualcosa di vitale non deve necessariamente essere sostenuto dalla conoscenza.
Idem per le fanzines, che poi oggi sono blog: nessuno pretende che siano professionali, né nella sostanza, né nella forma. Una rivista, cartacea e/o in Rete che abbia la pretesa di essere rilevante, influente e seria, non può certo prescindere dalla competenza dello staff e dalla qualità della scrittura.
Il problema odierno è che l'eccesso di offerta dilettantistica inevitabilmente generata da Internet non sembra favorire la professionalità, come ben dimostra la crisi mostruosa dell'editoria in genere e di quella del settore in particolare.
Io al momento cerco di resistere, attendendo il momento del riflusso che mi auguro arriverà.

2)
Agli albori del “nuovo rock italiano” (primi anni 80) l’autoproduzione era una necessità e anche le etichette erano il più delle volte frutto della buona volontà di una persona che tirava fuori i soldi per passione ed entusiasmo (vedi la tua High Rise o la mia Face Records ad esempio) senza alcun progetto particolare se non quello di far conoscere un gruppo che si amava.
Poi si è passati a dimensioni più professionali ma negli ultimi tempi la crisi discografica sembra aver riportato tutto di nuovo alle origini.
Ovvero, con le dovute eccezioni, per farsi conoscere devi tornare a sistemi che avevamo lasciato 30 anni fa.
Come vedi il futuro in questo senso?


Credo che con la massa abnorme di autoproduzioni resa possibile dal crollo dei costi di registrazione e stampa, le etichette che avranno una linea stilistica e/o qualitativa chiara e riconoscibile hanno ottime possibilità di sopravvivere più che dignitosamente.
Certo, non dovranno puntare a divenire piccole major ma dovranno volare più in basso, dato che i dischi vendono molto meno di un tempo... ma sono convinto che un marchio "rinomato" possa sempre fare moltissimo per gli artisti in gamba, e i fatti lo provano.
Vedi?
Il riflusso di cui sopra per le etichette è già arrivato, com'è arrivato per il sacro vinile che anni fa tutti davano per morto e sepolto.

3)
Ricollegandomi alla precedente domanda.
Parlando sempre di più o meno 30 anni fa, noi ammalati di musica “strana” spendevamo ore, giorni, immense energie e tanti soldi per trovare oscuri dischi punk o new wave o 60’s.
Una ricerca “mineraria” di vecchie o nuove gemme perse nella marea di materiale “infame” (disco music etc).
Nel 2013, tra Spotify, Deezer, Youtube etc mi sembra che si stiano riproponendo le stesse modalità. Milioni di brani e migliaia di album (gratis!) ma per trovare la gemma giusta e di valore occorre di nuovo scavare e scavare (questa volta nel web...)


Già, ma quel "gratis" fa una bella differenza: noi, quando riuscivamo a caro prezzo ad aggiudicarci un "tesoro nascosto", lo ascoltavamo e riascoltavamo per assimilarlo, mentre la tendenza attuale - favorita, appunto, dalla disponibilità gratuita e senza nemmeno uscire di casa - sembra essere legata alla rapidità e alla superficialità.
Mezzo ascolto magari mentre si fa altro e poi, via, si passa all'ennesimo link. È ovvio che non è così per tutti, ma in generale il trend è questo.

4)
Sappiamo cosa è successo e sta succedendo al “Mucchio”.
Evitiamo di approfondire ma colgo il pretesto per chiederti se, indipendentemente da queste vicende, credi che la rivista musicale cartacea sia destinata a scomparire quando ormai i dischi vengono recensiti sul web mesi prima dell’uscita e le news sono fruibili quotidianamente e non più mensilmente.
Credi resteranno ad appannaggio esclusivo dei tradizionalisti di “una certa età” abituati a quel mezzo?


In buona parte sì, ma sono assolutamente convinto che qualche rivista fatta bene, che rinunci a inseguire il web e si ponga come serio veicolo di approfondimento a prescindere dalla frenesia del nuovo (reale o presunto) possa ritagliarsi un suo spazio, avere una sua visibilità...
anche fra i giovani davvero interessati all'argomento e non solo fra noi "vecchietti".
Magari con una periodicità diversa dal mensile, tipo sei o quattro numeri all'anno...

5)
Parliamo di musica.
Esclusi i Not Moving (...) quali sono i dischi che sei stato più contento ed orgoglioso di avere prodotto ?
E un paio di titoli che avresti voluto produrre e che pensi che con il tuo apporto artistico avrebbero avuto maggiore efficacia (senza nulla togliere ovviamente a chi li ha prodotti, è un gioco...)


Una domandaccia!
Ho un bellissimo ricordo di tutti, ma se proprio devo pronunciarmi dico il mini-LP "On The Other Side Of The Tracks" dei Flies per i risultati tecnici - insomma, penso sia quello che mi è venuto meglio - e "My Blood, My Sin, My Madness", il secondo album dei Fasten Belt, per quanto riguarda il coinvolgimento emotivo, anche a livello di lavoro a monte.
Fra le "produzioni mancate"...
beh, non so dirti se con me le cose sarebbero andate meglio, ma di sicuro avrei dato tutto me stesso per "Five Days To Hell" degli Sleeves e "Rane'n'Roll" di Joe Perrino & The Mellowtones, i primi che mi vengono in mente.
Entrambi degli anni '80?
Sì, perché al di là dei pochissimi strascichi successivi considero conclusa la mia "carriera" di produttore in quel decennio.

6)
La domanda è banale ma non posso esimermi.
Fammi un elenco di dischi che ritieni essenziali per la conoscenza della musica “rock”.
E poi, parafrasando la rubrica “Get back” di questo blog che, mensilmente, consiglia tre dischi dimenticati da riscoprire, mi piacerebbe avere una tua breve lista di album che di solito nessuno cita in nessun elenco e che invece meriterebbero di essere rivalutati o scoperti.


Domanda addirittura peggiore della precedente... conosco troppi dischi, e so già che rileggendomi mi innervosirò per le dimenticanze.
Diciamo la classica antologia di Robert Johnson, una raccolta del primo Bo Diddley, "My Generation" degli Who, "Velvet Underground With Nico", i singoli Decca ed "Exile On Main St." dei Rolling Stones, "Revolver" dei Beatles, "Electric Ladyland" di Jimi Hendrix, "Goodbye & Hello" di Tim Buckley, "Raw Power" degli Stooges, l'esordio omonimo dei Ramones, "Horses" di Patti Smith, "Q. Are We Not Men?" dei Devo, "Damaged" dei Black Flag, "Mommy's Little Monster" dei Social Distortion...
sto andando a memoria e più o meno cronologicamente, ma non chiedermi di procedere oltre, anche se mi sono fermato solo ai primi anni '80.
Per quanto concerne i "culti", invece: "The American Revolution" di David Peel, "Who's Landing In My Hangar?" degli Human Switchboard, "Kaleidoscope World" dei Chills, l'omonimo degli High Tide e "Dealing With The Dead" dei Plan 9.
Anche qui citando a caso e senza consultare alcun "sacro testo".

martedì, maggio 21, 2013

Addio a Ray Manzarek



Se ne è andato a 74 anni, RAY MANZAREK, geniale tastierista dei DOORS.

Una fama avvallata dalla produzione del primo, seminale, album degli X , "Los Angeles" (che conteneva una stupenda versione di "Soul kitchen") ma sporcata in seguito da un cocciuto, patetico e pernicioso riproporre il nome dei Doors (con Robby Krieger, nonostante l'opposizione, anche legale, di John Densmore, con Ian Astbury dei Cult a fare il sosia di Jim Morrison), operazione già (ampiamente criticata) in atto dopo la morte di Morrison, nel 1971 e 1972 con i deludenti album "Full circle" e "Other voices" (in cui Ray cantava) e con "An american prayer" del 1978 (in cui i tre superstiti musicarono alcune poesie di Jim).

Della sua carriere solista, di modesta qualità, si ricorda solo la versione dei "Carmina Burana" incisa nel 1983.

lunedì, maggio 20, 2013

Serie A 2012-2013



Una buona squadra come la Juventus ha meritatamente vinto il campionato di calcio italiano sempre più scarso e sempre meno interessante, abbandonato da stelle e talenti.
Ha avuto vita facile sulla mediocrità circostante a partire dalle dirette inseguitrici come Napoli, Milan e Fiorentina di caratura modesta e appena sufficiente ( e con qualcuno lì in alto grazie a molti “aiuti”).
Lazio e Roma solite incompiute, Udinese che con il costante ricambio riesce sempre a tenersi a galla.
Uniche sorprese la buona stagione del Catania e la retrocessione del Palermo e del suo ingestibile presidente.

L’elemento di maggiore interesse è stato il tracollo dell’Inter che può rivaleggiare solo con il PD in quanto ad auto mazzate sugli attributi.
Difficile fare peggio tra senatori a passeggiare per il campo, acquisti assurdi, infermeria sempre piena, gestione caotica e dilettantesca.

Il MIO CAGLIARI ha fatto bene, considerata la situazione kafkiana dello stadio e con un presidente in galera.
In una situazione normale con la buona squadra che si ritrovava (talenti come Ibarbo e Sau, giovani promettenti come Naingollan, Murru e Del Fabbro, volonterosi “vecchi” come Cossu e Conti) ci potevano stare anche 10 punti e qualche ambizione in più.

Per il resto tutto come da copione.
Poche le stelle: Cavani, Balotelli, Buffon poi onore al merito al solito Di Natale, ai giovani El Shaarawy, La Mela, Icardi e Sau.

CALCIO ESTERO.
Un po‘ ovunque hanno vinto i club più ricchi: PSG, United, Bayern, Barcellona davanti al Real, Shaktar, Benfica o Porto.
Il progetto di un campionato europeo per club di Platini (e Galliani) è sempre più plausibile e probabile.
Vince chi spende tanto, il resto è contorno.
La Champions è di una tedesca, la Europe come previsto al Chelsea (peccato per il Benfica).
Germania, Spagna, Inghilterra sempre e solo loro, figuraccia del calcio italiano lontano anni luce dai vertici.
Cresce quello turco destinato ad affacciarsi sempre più spesso in alto, deludono sempre più quello ex Yugoslavo e greco, si conferma di buon valore quello ucraino, stenta come sempre quello russo nonostante gli investimenti sempre generosi.

A breve la divertente parentesi della Confederation Cup ma soprattutto l'Europeo Under 21, spettacolo da non perdere.

domenica, maggio 19, 2013

La STORIA dei NOT MOVING: primo semestre 1988



Il nuovo anno incomincia con parecchi cambiamenti, soprattutto nell’aumento esponenziale della tensione all’interno del gruppo.
Sempre più scazzi, occhi neri (non scherzo...) e situazioni incontrollabili.
Abbandoniamo innanzitutto la Spittle Records, sempre più in crisi, che ha lasciato che “Jesus loves his children” andasse un po’ per conto suo, senza alcuna spinta adeguata a livello promozionale.
Sfumata la possibilità di un album per la tedesca Glitterhouse, un po ‘sorprendentemente anche per noi, con una telefonata e una stretta di mano ritroviamo in un paio di giorni l’appoggio di Claudio Sorge e della sua Electric Eye per cui sei anni prima avevamo firmato il nostro esordio discografico.
Entriamo praticamente subito nel mio studio Audiar da poco trasferitosi a Piacenza con una tecnologia di grande spessore (tra cui lo storico mixer vendutoci da Mauro Pagani su cui fu inciso “Creuza de ma” di de Andrè), a febbraio, con un buon numero di brani da incidere per l’imminente nuovo lavoro a 33 giri.
Sarà l’inizio della fine.

Sin dai primi giorni è evidente che il gruppo è quasi allo sfascio: litigi costanti e ripetuti, incapacità di portare a termine in maniera soddisfacente un brano che è uno, pareri sempre discordi, direzioni musicali sempre più lontane (chi vuole inasprire il sound, chi lo vuole più ascoltabile e professionale, chi vuole cercare di inserirsi a fianco delle bands che “ce l’hanno fatta” con qualcosa di più mainstream, chi vuole tornare a sonorità estreme).
In mezzo i famosi “rapporti sentimentali mutati nel tempo” che esplodono spesso in scontri fisici di estrema violenza (anche in strada o nel bar di fronte allo studio...).

Dopo aver inciso il brano “Looking for a vision”, Dany decide che ne ha abbastanza, lascia band e Italia e se ne va a vivere in Germania.
Troviamo al volo un sostituto in Betty Blue (Milo) Milani, amico di lunga data, che ci aveva spesso ospitato nella sua soffitta adibita a sala prove.
E’ un chitarrista ma si adatta velocemente al basso.
Con lui proseguiamo faticosamente le registrazioni.
Finite le batterie volo in California quindici giorni lasciando agli altri il compito di andare avanti.
Torno con il disco quasi completato.

“Flash on you” è un insieme di brani molto diversi per impostazione e direzione che spazia dalla riedizione di una brano di disco music dei tedeschi Sniff and Tears “Driver’s seat” ad un medley di brani di Jimi Hendrix, da un brano di palese ispirazione 60s’s come “Blue sing” ad un punk n roll tiratissimo come “Stupid girl” ad una ballata come “Sweet beat angel”.
Lo ritengo ancora un buon album ma l’unitarietà che caratterizzava i precedenti lacvori è abbondantemente persa.
Se ne parlerà bene e sembrerà un passo transitori overso il futuro, una maturazione, un nuovo capitolo.
Esce il 5 maggio, suoniamo al sud (Bari e Brindisi) e a Roma.

La nuova line up funziona, i concerti sono sempre più affollati, il cachet si alza ancora ma si vive “separati in casa”.
Una parte (Dome e Severine) si sta sempre più indirizzando verso una visione musicale proto stoner e abbracciando la causa dei Nativi Americani che un’altra parte (io, Lilith e anche Betty Blue) vede in maniera più distaccata mentre musicalmente privilegia altre direzioni (dal blues al soul, via Stones e Tom Waits).
E’ il preludio all’imminente fine.

sabato, maggio 18, 2013

Recensione di Love and Emotion di Mauro Zambellini



Willy DeVille è di casa dalle mie parti.
Mia moglie Rita (in arte DeVille, ooops, Lilith) lo ha messo da secoli al vertice delle sue preferenze musicali, artistiche, comportamentali e sostiene pure che gli assomiglio un po’ (e che mi devo far crescere i baffi...va bè).
Vuol dire che pur se De Ville, fin dai tempi dei Mink De Ville, tardi 70’s, periodo CBGB’s , New York, palco diviso con Patti, Joey , Dee Dee , Johnny, Tom, Stiv etc, lo conoscevo e, moderatamente, lo apprezzavo, non è che fosse tra i miei preferiti.
Poi l’ascolto (forzato) di tutte la sua discografia, i concerti, le foto, gli articoli, i video, il sottofondo costante casalingo me lo ha fatto lentamente amare sempre di più (anche se i baffi non li ho mai fatti crescere).

Willy DeVille forse più di ogni altro ha saputo condensare nella sua musica quello che più amo: soul, rock n roll, rhythm and blues, la ricerca maniacale di materiale oscuro, un’identità, una personalità, un’etica totalmente indipendenti dalle mode, spesso in una direzione ostinatamente contraria.

Ha pagato caro Willy.

Dimenticato, costantemente ai margini, artista “minore” di cui in pochissimi hanno riconosciuto la grandezza. Il libro di Mauro Zambellini “Love and emotion” restituisce giustizia ad un uomo, ad un musicista, ad un artista che ha costellato la sua vita di errori, colpi di testa, che ha sempre vissuto al limite ma sempre coerentemente ad un’etica, ad un’estetica, ad un modo di vivere e di essere, totalmente personali.
In questo libro c’è la dettagliata storia, belle foto, dichiarazioni, commenti e una precisa discografia finale.
Direi che se qualcuno è ancora digiuno dell’arte di Willy DeVille è ora di scoprire, attraverso questo prezioso (ed unico) lavoro, un mondo che non vi deluderà, se amate la musica migliore.

venerdì, maggio 17, 2013

Rock n Goal domani a Torino



Doppio appuntamento domani a TORINO per "ROCK n GOAL" (che viaggia spedito nelle parti alte delle classifiche di vendita dei libri di musica - vedi www.ibs.it - il che non fa mica schifo).

Alle 15 al SALONE del LIBRO presso lo stand della Libreria dello Sport (Stand D67, padiglione/pav 1) una prima presentazione a cui farà seguito quella delle 20.30 ad "Officine Corsare" in Via Pallavicino 35 bis. Saranno presenti MAURIZIO BLATTO & SIMONE LORIA.

Nel frattempo due pagine ce le dedica "Max", domani "Alias" del "Manifesto" e giovedì prossima la mattina alle 11.30 torniamo di nuovo a SKY.

More to come.....

giovedì, maggio 16, 2013

Allenare oggi



Dal libro dell’ex telecronista di TeleCapodistria Sergio Tavcar sul basket yugoslavo (che vi consiglio ardentemente di procurarvi qui http://www.sergiotavcar.com/) "La Jugoslavia, il basket e un telecronista" una riflessione dell’autore nell’epilogo che condivido (per esperienza personale) in buona parte.

Sono ormai alcuni anni che non mi dedico più all’attività di allenatore per la semplice ragione che non riuscirei a sopportare l’ambiente nel quale dovrei operare.
La stupida ambizione e la cafonaggine dei genitori, la totale mancanza di ogni autorità morale sui ragazzi, viziati e pronti ad essere scusati per ogni vaccata che commettono (poverini, è l’ambiente, sono stressati...), lo sfacelo della scuola e comunque di ogni struttura sociale che dovrebbe educare alla disciplina ed al rispetto, la vacuità ed il comportamento robotico degli stessi ragazzi, in definitiva l’incapacità di concepire una qualsiasi attività che non abbia riscontri materiali sono cose che non potrei sopportare e finirei con l’essere citato in tribunale perchè molto presto mi scapperebbe un sonoro calcio nel sede a qualcuno.
“I tempi sono cambiati” mi dicono sempre.
“E sarebbe sempre ora che cambiassero di nuovo” è la mia inevitabile risposta.

mercoledì, maggio 15, 2013

Queen's Park F.C.



Torna il nostro ALBERTO GALLETTI a parlarci come sempre nella maniera più competente possibile del CALCIO VERO, questa volta con la sconosciuta storia dei QUEEN'S PARK di GLASGOW.

Il recente ritiro di Sir Alex Ferguson dalle scene calcistiche mi ha dato lo spunto per una riflessione sullo stato del calcio scozzese, in stato di agonia comatosa ormai da almeno cinque lustri, ma non è sempre stato così, ecco un glorioso esempio.

Il Queen’s Park FC di Glasgow è il più antico club scozzese di calcio.
Fondato il 9 luglio 1867 da un gruppo di giovani membri del YMCA di Glasgow che giocavano sporadicamente per varie squadre esistenti ma volevano una squadra propria, il club ha rivestito una figura di primo piano nel calcio scozzese, britannico e mondiale fino all’avvento della prima guerra mondiale.
Il club adottò maglie blu e pantaloni lunghi neri di flanella, rimpiazzati nel 1870 da più consone ‘mutande’ al ginocchio dello stesso colore.
Nell’ottobre 1873 adottarono le famosissime maglie a strisce orizzontali sottili bianco-nere con braghe bianche, fino al 1876 i membri del club vennero lasciati liberi di indossare i calzettoni che preferivano, furono indossate per la prima volta il 25 ottobre 1873 in una partita di coppa di Scozia che fu anche l’inaugurazione del loro nuovo campo: Hampden Park.
Da quel giorno vengono anche soprannominati “The spiders” per la somiglianza delle maglie con le ragnatele.
Giocarono la loro prima partita il 1 agosto 1868, 2-0 al Thistle Fc; subirono il primo gol nel marzo 1875 in semifinale di coppa di Scozia, e persero il primo incontro nel dicembre 1876, 2-1 contro il Vale of Leven nel 5° turno di coppa di Scozia.

Per il ruolo avuto nello sviluppo del calcio in epoca pioneristica, l’importanza del Queen’s Park è stata paragonata a quella del MCC nel cricket e del R&A Club St. Andrews nel golf; tra i fondatori della federazione scozzese nel 1873, furono i depositari e deliberatori delle regole del gioco per il primo trentennio, oltre che responsabili della selezione nazionale, della nascita e organizzazione della coppa di Scozia.

A loro si deve l’introduzione delle traverse, dell’intervallo tra i due tempi, dei calci di punizione e dei calci di rigore.

Il Queen’s Park si iscrisse alla Football Association (FA) inglese nel 1870, al tempo l’unica federazione esistente al mondo, il motivo era chiaro, avere un ruolo di primo piano nello sviluppo del calcio e vincere la FA Cup.
Arrivarono in semifinale nella prima edizione del 1871/72 dove pareggiarono contro The Wanderers (futuri vincitori) 0-0, ma dovettero rinunciare a giocare la ripetizione in quanto non riuscirono a racimolare la somma necessaria per tornare a Londra.
In qualità di membri della federazione inglese vennero invitati ogni anno a partecipare alla FA Cup ma rinunciarono per lo stesso motivo fino al 1884 quando il Club che contava ora su una base più solida accettò l’invito e arrivò in finale dove venne sconfitto 2-1 dal grande Blackburn Rovers dominatore della scena inglese in quei polverosi anni di fine ottocento.
La finale si ripetè anche l’anno dopo e il Blackburn Rovers si impose ancora, questa volta per 2-0.
L’esperienza inglese fu una parentesi aggiuntiva per gli Spiders che continuarono nella loro epopea/missione aldilà del Vallo di Adriano.

Il 30 novembre 1872 si disputò il primo incontro di calcio internazionale della storia del calcio, Scozia -Inghilterra 0-0 e tutti i giocatori della Scozia erano del Queen’s Park che si presentarono indossando la divisa del club, blu scura, che venne adottata come maglia ufficiale della nazionale.

Il predominio sul campo continuava e il Queen’s Park si aggiudicò la coppa di Scozia in ben 10 occasioni: 1874, 1875, 1876, 1880, 1881, 1882, 1884, 1886, 1890 e 1893 (solo Rangers e Celtic a tutt’oggi han fatto meglio).
In quegli anni riuscivano facilmente ad attirare folle di oltre 10,000 persone per partite amichevoli, e quando la federazione organizzò il primo campionato nel 1890, gli ‘Spiders’ declinarono l’invito, fedeli al motto del club “Ludere causo ludendi” , sostenendo che la struttura a campionati avrebbe finito per spianare la strada al professionismo, pratica con la quale non volevano avere niente a che fare.
Non sbagliavano infatti, in quanto nel 1893 il professionismo fu legalizzato anche in Scozia.
La nuova situazione rese però più difficile organizzare amichevoli in quanto tutte le squadre avevano un calendario fisso di partite di campionato e nel 1900 il direttivo del club riconsiderò la proposta ratificando l’adesione al campionato, la federazione li ammise direttamente alla I Divisione, nello stesso anno furono sconfitti in finale di coppa dal Celtic per 4-3 al termine di un’incontro altamente emozionante ma ormai i club professionistici cominciavano a prendere il sopravvento.

Rimase n I divisione fino al 1948 e poi ancora tre brevi periodi fino all’ultima apparizione nella stagione 1957/58. Da allora in conseguenza alle varie riforme dei campionati scozzesi la vita del glorioso Queen’s Park si è svolta tra III e IV divisione.

Nonostante ciò, il club deliberò nel 1900 il progetto per la costruzione di un nuovo gigantesco stadio che venne aperto nel 1903, con una capienza di 150,000 posti rimase lo stadio più grande al mondo fino all’apertura del Maracanà nel 1950.
E’ lo stadio che detiene tutti i record di presenze per partite giocate in Europa (a parte forse per la partita di campionato per la quale non ho dati certi) :
Incontro Internazionale: Scotland v England 149,415 nel 1937
Finale di Coppa dei Campioni: Real Madrid v Eintracht Frankfurt, 135,000 nel 1960
Partita di Coppa Europea: Celtic v Leeds United, 136,505 nel 1970
Partita di Coppa Nazionale: Celtic v Aberdeen 147,365 nel 1948
Incontro Amichevole: Great Britain v Rest of Europe, 137,000 nel 1947

In seguito alle deliberazioni del 1900 il Queen’s Park rimane l’unica squadra al mondo costituita unicamente da dilettanti ammessa a campionati professionistici, e rimangono i proprietari di Hampden Park lo stadio della nazionale scozzese e sede degli uffici della Scottish Football Association.
E’ stata la prima squadra nella quale ha giocato, dal 1957 al 1960, Alex Ferguson, che collezionò 31 presenze e 20 gol.

Quest’anno dopo il clamoroso crack dei Rangers costretti a ripartire dalla IV divisione, si è riproposto il derby di campionato, per alcuni storico/nostalgici tipo il sottoscritto il vero derby di Glasgow, per la prima volta dopo 54 anni, il primo giocato all’ 8 giornata in casa dei Rangers ha fatto registrare la bellezza di 49,463 spettatori, il ritorno giocato ad Hampden Park si è giocato davanti a ben 30,117 spettatori, ricordo che la media spettatori solita del Queen’s Park per le partite di campionato è di circa 600 presenze, si è trattato in ogni caso di una stagione straordinaria per tutti.

martedì, maggio 14, 2013

Intervista a Federico Fiumani



Inizia una serie di (volutamente) brevi interviste ad alcuni personaggi della scena musicale italiana (amici e conoscenti).

Partiamo con FEDERICO FIUMANI, anima dei DIAFRAMMA, una delle bands più rappresentative della musica italiana.

Diaframma e Federico Fiumani sono immediatamente associati alla parola new wave.
In realtà tu nasci artisticamente con il punk e personalmente ti ho sempre sentito come artista punk sia musicalmente che liricamente.
Quanto ti è rimasto del punk e quanto (se lo ha fatto) ha cambiato la tua vita ?


Ricordo una nostra discussione alla Vecchia talpa sul significato della parola Punk..tu sostenevi che aveva implicazioni politiche mentre io no,o perlomeno quasi per niente.
Così a pelle direi che per me il Punk significava violenza, filtrata e trasposta in ambito artistico.

Me l'ha cambiata moltissimo l'esistenza, mi ha fatto vivere meglio ed è tutt'ora una mia grande passione, insieme ai Beatles e a pochissime altre cose.
Da ragazzo rimasi stupito dall'approccio violento che avevano i gruppi e un pochino mi piace riproporlo dal vivo..ma con molta parsimonia perchè non c'ho il fisico e ho paura degli altri.

Negli anni 80 ci si autoproduceva o quasi (gran parte delle etichette erano il più delle volte iniziative di un singolo appassionato) poi lentamente è subentrata una certa professionalità e alcuni sono approdati alle major.
Ultimamente sembra che si stia (per necessità) ritornando alle origini, all’autoproduzione o comunque a situazioni in cui è l’artista sempre più protagonista del proprio prodotto.


Vero, certo.
Credo sia una questione di soldi : con l'affermarsi del supporto cd l'industria ha avuto un ritorno economico enorme perchè costavano tantissimo al pubblico ma poco a livello di costi di produzione, si ristampava quasi tutto in cd avendo già abbattuto i costi di registrazione e quindi i ricavi erano enormi, quindi le major avevano un bel pò di soldi da reinvestire.
Poi vogliamo anche dire che gruppi come Diaframma e Not Moving negli anni 80 hanno seminato bene creando i presupposti favorevoli per i gruppi a venire ?

 Ora i soldi sono finiti e quindi si torna a una dimensione più spartana della musica.

Contrariamente a parecchie altre nazioni europee, dall’Italia , a parte rare eccezioni, non è mai uscito un nome che (come Kraftwerk dalla Germania, Manu Chao dalla Francia, Motorpsycho dalla Norvegia per fare alcuni esempi) si sia poi affermato internazionalmente.
Secondo te perchè ?

Forse perchè in Italia l'inglese non è così familiare come invece nelle nazioni da cui provengono i gruppi da te citati.

Quale album e quali brani consiglieresti ad uno che non ha mai ascoltato i Diaframma per spiegargli al meglio il tuo mondo sonoro?

Gli consiglierei la mia faccia, è tutto scritto lì.

Quali sono tra i nomi nuovi (italiani e stranieri) che ti sono piaciuti di più negli ultimi tempi ?

Stranieri gli Iceage (norvegesi), italiani i Giuda.

Ci elenchi qualche disco tra i tuoi preferiti ?
Non necessariamente i migliori album ma quelli che ami più ascoltare
.

Il problema è che io dischi ne compro ancora un bel pò ma poi non li ascolto..devo soffrire della stessa sindrome di cui soffrono i vecchi che vanno dietro alle donne ma non si ricordano più il perchè

lunedì, maggio 13, 2013

Spotify (la rivoluzione nella musica ?)



Ho incominciato ad usare SPOTIFY.

Spotify permette di ascoltare gratuitamente un’ enorme quantità di musica, 15 milioni di canzoni, (con numerose eccezioni, esclusive di iTunes) e condividerla con chi ti segue e con gli amici su Facebook.
Una modalità di interazione e condivisione, scambio e confronto interessante.
Con qualche limitazione: un periodo di prova gratuito di sei mesi viene attivato al momento dell'accesso con un account Facebook.
Dopo questo periodo, Spotify ha un limite di ascolto di dieci ore al mese.
L'abbonamento "Unlimited" rimuove la pubblicità (molto fastidiosa e invasiva) e i limiti di tempo, mentre l'abbonamento "Premium" introduce ulteriori funzioni.

L’ascolto gratuito offre una qualità tecnica decisamente bassa, pagando il livello si alza palesemente e viene eliminata la fastidiosissima pubblicità che interrompe frequentemente la fruizione.
Spacciato da molti come modello rivoluzionario della fruizione musicale non si discosta sostanzialmente dai servizi offerti da altre piattaforme come Deezer ad esempio ( o lo stesso Youtube su cui è possibile ascoltare un buon numero di album completi, anche di recente uscita).
Rimane un interrogativo:
fermo restando che più ampia è la scelta e più possibilità ci sono ma c’è davvero tutto questo tempo per ascoltare così tanta musica ?
E l’eccesso di offerta non rende la fruizione sempre più veloce e conseguentemente superficiale ?

Di Spotify ha scritto in modo esaustivo e competente Giosuè Cremonesi (Esperto di comunicazione e filosofia web, musicista punk (Haulin'ass), compositore, sceneggiatore e scrittore pulp e noir)

http://www.radiocoop.it/index.php/sezioni/music-history/item/217-spotify-ci-uccidera-tutti-ma-anche-no

domenica, maggio 12, 2013

La STORIA dei NOT MOVING: secondo semestre 1987



Nelle foto: a Cuneo, a Scandiano e in qualche altro posto sparso per l'Italia.

L'uscita di "Jesus loves his children" rafforza la popolarità dei Not Moving anche se non la fa crescere più di tanto rispetto a "Sinnermen".
Il salto in  avanti ormai non c'è stato, consolidiamo lo status di grande/ottima/buona rock n roll band della scena indipendente italiana ma mentre altri volano tra concerti sold out, dischi in classifica e vendite proficue (CCCP e Litfiba su tutti, gli uni usciti con "Socialismo e barbarie" gli altri con "17 re", mentre gli esordi di Gang con "Barricada rumble beat", Sick Rose con "Faces", Boohoos con "Moonshiner" ci affiancano nuove fortissime band con dischi eccellenti), noi rimaniamo nella nicchia.

Ci prendiamo comunque sempre un po' di soddisfazioni: le riviste tradizionali tributano i consueti omaggi, le fanzines si riempiono di interviste e recensioni, arrivano articoli da mezzo mondo, Inghilterra, Usa, Germania, Spagna, addirittura Finlandia e Perù !
In luglio suoniamo a Scandiano (Reggio Emilia) alla Festa dell’Unità e ad aprire c’è una nuova rock band, gli Ora Zero di un cero, sconosciuto, Luciano Ligabue, a settembre siamo a Cuneo al Festival Movimenti 87 dopo Violet Eves e Liars (che sforando il tempo a loro concesso e rubandone a noi rischiano l’aggressione fisica di Dany già partito con il basso a mo’ di clava per abbatterne qualcuno. Lo fermo appena in tempo) e prima di Rats e CCCP) poi a Torino al Teatro Nuovo con Truzzi Broders e Loschi Dezi con 1.500 persone davanti, a Malnate (Va) con 600 persone, al “Black out” di Carpenedolo (Bs) dove la Tramite Records registra il concerto e farà uscire un live con nostri due brani (oltre a quell idi Settore Out, Kim Squad e Views), due date in Sardegna ad Assemini e Ossi (sempre affollate) e chiudiamo a Civitanova Marche (Mc) in dicembre all’ “Oceanic” con il 100° concerto con l’attuale formazione. Ancora non lo sappiamo (ma un po’ lo sospettiamo) ma sarà l’ultimo con Dany al basso.

Il referendum dei lettori di Rockeriila ci piazza nel frattempo al sesto posto dei gruppi più amati (dietro a CCCP, Litfiba, Gang, Boohoos, Sick Rose), Lilith è al 15° (prima tra le italiane, davanti ad Alice...) tra le cantanti donne (in testa Suzanne Vega e Lisa Germano) , “Jesus...” è al quinto (dietro a CCCP, Litfiba, Gang, Boohoos davanti a “Blues” di Zucchero !??!?!).

A fine settembre registriamo al West Link di Ale Ovi Sportelli invece una serie di provini destinati all’etichetta tedesca Glitterhouse (che ai tempi aveva pubblicato la compilation “Declaration of fuzz”, cose dei Miracle Workers e aveva da poco iniziato un rapporto con la Sub Pop portando in Europa i dischi di Mudhoney, Green River , Tad e altri) che ci aveva richiesto nuovo materiale dopo averci visto in tour in Germania.
Come sempre, invece di lavorare su brani consoni alla direzione dell’etichetta, optiamo per qualcosa di meno duro e diretto del solito, con influenze country e blues (alcune delle quali finiranno sull’album successivo) e il contatto sfuma.
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