martedì, luglio 19, 2005

Il figlio di Vargas Llosa riscrive la storia di Ernesto Guevara, dipingendolo come un criminale.Luis Sepulveda gli risponde

I deliri del Che del piccolo Alvarito Llosa
Alvarito, oh Alvarito
di Luis Sepulveda (da "Il Manifesto" del 17 luglio)

Il figlio di Vargas Llosa riscrive la storia di Ernesto Guevara, dipingendolo come un criminale. Ignorando che la principale preoccupazione del Che fu quella di evitare alla popolazione civile di finire ostaggio della guerra

Ci sono tipi che, a leggere quello che scrivono o a sentire quello che dicono, ci spingono a porci una domanda cruciale: da che uovo è uscito quel passerotto?
Senza offesa per i passeri e gli ornitologi, Alvaro Vargas Llosa, «Alvarito», è un passerotto uscito dall'uovo della frustrazione sofferta da quelli che hanno un papà che è un grande scrittore e vogliono mettersi in luce anche loro come letterati o giornalisti.
Alvarito si trova bene a Miami, papà gli ha trovato un lavoro da giornalista e lui dalla terra di Jeb Bush scrive, o almeno così assicura dalla sua singolare mediocrità di tonto viziato dall'editoriale che è poi la stessa in cui papà pubblica i suoi libri.
Stranamente è un'impresa che, in questi tempi di concentrazione dei mezzi di comunicazione in pochissime mani, appartiene allo stesso proprietario di radio spagnole in cui il papà di Alvarito, e lo stesso Alvarito, commentano gli accadimenti da un punto di vista il più possibile di destra e, altra curiosità, appartiene allo stesso proprietario della Cnn in spagnolo e al giornale di maggior tiratura in cui il papà di Alvarito e lo stesso Alvarito scrivono le loro odi ultra-conservatrici in nome del «liberalismo» e della libertà di mercato come unica etica possibile.
Qualche anno fa Alvarito ebbe con suo papà un interessante scambio intellettuale, di alto livello. «Papi, voglio diventare scrittore, dammi una mano».
Papà gli diede una mano e il pargolo pubblicò un oggetto, con forma di libro, intitolato «Manuale del perfetto idiota latinoamericano».
Nelle sue pagine piene di errori, tutti noi che abbiamo preso le difese dei valori democratici in America latina, da Garcia Marquez e Cortazar fino alle vittime delle dittature, eravamo qualificati come «idioti al servizio del castrismo».
Adesso, da Miami, Alvarito scrive sul Che. Su Ernesto Guevara.
Sul comandante Ernesto Che Guevara, che è molto più di una moda, di una marca o di una maglietta.
Sostiene Alvarito, in un articolo pubblicato su The New Repubblic, che è normale che i fedeli di un culto non conoscano la vera storia dell'eroe che ha fondato quel culto. E sembra che lui sì che la conosca, grazie alle straordinarie fonti di informazione offerte da Miami e dai gusanos della Fondazione Cubano-Americana.
La spazzatura scritta da Alvarito non merita risposta, neppure i suoi tentativi di infangare con i dubbi - semina dubbi che qualcosa rimane, deve aver detto Goebbels - Frei Betto e Leonardo Boff, dal momento che entrambi hanno alle spalle un valore etico che parla da solo.
Invece conviene soffermarsi su questo nuovo tentativo - uno in più - di screditare l'immagine e il ricordo del comandante Ernesto Che Guevara, un uomo che, anche se questo pesa molto a tutti gli Alvaritos del revisionismo storico, è un punto di riferimento fondamentale per tutti coloro che credono in un altro mondo possibile, in un'altra realtà possibile, in una società più giusta e più generosa.
Il Che partecipò alla guerra rivoluzionaria a Cuba, combatté insieme ai cubani - non insieme ai russi o ai cinesi o i marziani - contro la dittatura di Fulgencio Batista, un dittatore inventato dal dipartimento di Stato degli Stati uniti.
In guerra si uccide o si muore - che ci piaccia o no - e lo stesso Che si incaricò di ricordarlo a una maestra rurale che andò a visitarlo nella scuola di Vallegrande, in Bolivia, poche ore prima che lo assassinassero, per ordine degli Stati uniti.
Se Alvarito e tutti gli Alvaritos della new age fossero dotati di una minima capacità di intendere, nonché di leggere i trattati della guerra rivoluzionaria e i diari scritti dal Che, scoprirebbero che la sua grande preoccupazione fu quella di rendere meno cruenta la guerra di liberazione; che la guerra di guerriglia concepita dal genio strategico del Che cercava di evitare, prima di tutto, che la popolazione civile finisse come ostaggio degli eserciti mantenuti e diretti da ufficiali degli Stati uniti.
Il Che è stato l'uomo più universale dell'America latina.
Gli toccò vivere l'epoca atroce in cui le prospettive di vita della popolazione del Centramerica e dei Caraibi arrivavano appena ai 40 anni, l'epoca in cui la denutrizione era endemica e l'analfabetismo era accettato come il prezzo da pagare per il fatto di vivere in una società divisa in classi. E agì di conseguenza. Si mise in gioco.
Morì in un'azione di coerenza etica.
Oggi, a più di trent'anni dalla sua morte, possiamo essere d'accordo o no con le sue analisi della società latinoamericana o africana, ma nessuno può negare che il Che ha marcato più di una generazione ridando loro un orgoglio che gli Alvaritos non possono capire: l'orgoglio di vivere in piedi, l'orgoglio di essere padroni del proprio destino, l'orgoglio di essere protagonisti attivi della propria storia.
Per infangare la memoria del Che, gli Alvaritos si avvalgono di testimonianze che loro stessi sono andati a cercare fra la gente dell'esilio cubano - lamentabile come tutti gli esili -, ma ignorano le testimonianze di quelli che l'accompagnarono e che sarebbero disposti ad andare di nuovo in montagna con lui.Conosco due persone in Cile, sono figli di Augustin Carrillo, il «Comandante Gonzalo» dell'Esercito di liberazione nazionale della Bolivia, morto in combattimento contro i Rangers sulle montagne del Teoponte.
Venerano il ricordo di loro padre, che perdettero quando avevano tre e cinque anni.
Ma i loro visi si riempiono d'orgoglio quando dicono: «Mio padre ha combattuto con il Che».
In ogni giovane che crede che un altro mondo è possibile, in ogni individuo che crede in una società migliore, più giusta e più etica, lì sta l'esempio del Che, molto di più che un'icona culturale di sinistra o una figura romantica.
Il suo esempio si traduce in un breve paragrafo dei «Passaggi della Guerra rivoluzionaria»:
«Il livello più alto dell'umanità è la dedizione, è la rinuncia al benessere personale quando la maggioranza vive nella miseria, è capire che la rivoluzione è un atto trasformatore della società perché le sue decisioni future siano orientate verso il benessere della specie umana.
Quando si capisce questo e si raggiunge quel livello più alto della specie umana, allora si è un rivoluzionario. E il dovere di ogni rivoluzionario è fare la rivoluzione».

Il comandante Ernesto Che Guevara è ancora qui e ci resterà fino a che la società avrà bisogno di trasformazioni.
I miserabili e gli Alvaritos saranno dimenticati, per molto che scrivano e siano i figli viziati del potere monopolistico delle comunicazioni.

2 commenti:

  1. gusano "rojo" in messico e' il verme nelle bottiglie di mezcal
    ........

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  2. Incubo Cuba

    Nessuna gloria per il Comandante Guevara
    ERNESTO "CHE" MENGELE
    Organizzò il primo campo di concentramento per gay

    Il medico argentino che condusse la rivoluzione cubana organizzò i lager per i dissidenti e gli omosessuali. Questi ultimi furono da lui perseguitati in quanto tali: il "Che" non fu secondo nemmeno ai nazisti. Ecco un ritratto che Massimo Caprara, ex segretario di Palmiro Togliatti, ha descritto del rivoluzionario

    Con la fuga del dittatore Fulgencio Batista e la vittoria di Fidel Castro, nel 1959, il Comandante militare della rivoluzione, Ernesto "Che" Guevara, ricevette l'incarico provvisorio di Procuratore militare.
    Suo compito è far fuori le resistenze alla rivoluzione. Lasciamo subito la parola a Massimo Caprara (*), ex segretario particolare di Palmiro Togliatti: "Le accuse nei Tribunali sommari rivolte ai controrivoluzionari vengono accuratamente selezionate e applicate con severità: ai religiosi, fra i quali l'Arcivescovo dell'Avana, agli omosessuali, perfino ad adolescenti e bambini".
    Nel 1960 il procuratore militare Guevara illustra a Fidel e applica un "Piano generale del carcere", definendone anche la specializzazione. Tra questi, ci sono quelli dedicati agli omosessuali in quanto tali, soprattutto attori, ballerini, artisti, anche se hanno partecipato alla rivoluzione. Pochi mesi dopo, ai primi di gennaio, si apre a Cuba il primo "Campo di lavoro correzionale", ossia di lavoro forzato. È il Che che lo dispone preventivamente e lo organizza nella penisola di Guanaha. Poi, sempre quand'era ministro di Castro, approntò e riempì fino all'orlo quattro lager: oltre a Guanaha, dove trovarono la morte
    migliaia di avversari, quello di Arco Iris, di Nueva Vida (che spiritoso, il "Che") e di Capitolo, nella zona di Palos, destinato ai bambini sotto ai dieci anni, figli degli oppositori a loro volta incarcerati e uccisi, per essere "rieducati" ai principi del comunismo.
    È sempre Guevara a decidere della vita e della morte; può graziare e condannare senza processo. "Un dettagliato regolamento elaborato puntigliosamente dal medico argentino - prosegue Caprara, sottolinenado che Guevara sarebbe legato al giuramento d'Ippocrate - fissa le punizioni corporali per i dissidenti recidivi e "pericolosi" incarcerati: salire le scale delle varie prigioni con scarpe zavorrate di piombo; tagliare l'erba con i denti; essere impiegati nudi nelle "quadrillas" di lavori agricoli; venire immersi nei pozzi neri". Sono solo alcune delle sevizie da lui progettate, scrupolosamente applicate ai
    dissidenti e agli omosessuali.
    Il "Che" guiderà la stagione dei "terrorismo rosso" fino al 1962, quando l'incarico sarà assunto da altri, tra cui il fratello di Fidel, Raoul Castro. Sulla base del piano del carcere guevarista e delle sue indicazioni riguardo l'atroce trattamento, nacquero le Umap, Unità Militari per l'Aiuto alla Produzione (vedi il dossier di Massimo Consoli in queste pagine), destinati in particolare agli omosessuali.
    Degli anni successivi, Caprara scrive: "Sono così organizzate le case di detenzione "Kilo 5,5" a Pinar del Rio. Esse contengono celle disciplinari definite "tostadoras", ossia tostapane, per il calore che emanano. La prigione "Kilo 7" è frettolosamente fatta sorgere a Camaguey: una rissa nata dalla condizioni atroci procurerà la morte di 40 prigionieri. La prigione Boniato comprende celle con le grate chiamate "tapiades", nelle quali il poeta Jorge Valls trascorrerà migliaia di giorni di prigione. Il carcere "Tres Racios de Oriente" include celle soffocanti larghe
    appena un metro, alte 1.8 e lunghe 10 metri, chiamate "gavetas".
    La prigione di Santiago "Nueva Vida" ospita 500 adolescenti da rieducare. Quella "Palos", bambini di dieci anni; quella "Nueva Carceral de la Habana del Est" ospita omosessuali dichiarati o sospettati (in base a semplici delazioni, ndr). Ne parla il film su Reinaldo Arenas "Prima che sia notte", di Julian Schnabel uscito nel 2000". Anni dopo alcuni dissidenti scappati negli Usa descriveranno le condizioni allucinanti riservate ai "corrigendi", costretti a vivere in celle di 6 metri per 5 con 22 brandine sovrapposte, in tutto 42 persone in una cella. Il "Che" lavora con strategia rivolta al futuro Stato dittatoriale. Nel
    corso dei due anni passati come responsabile della Seguridad del Estado, della Sicurezza dello Stato, parecchie migliaia di persone hanno perduto la vita fino al 1961 nel periodo in cui Guevara era artefice massimo del sistema segregazionista dell'isola. Il "Che", soprannominato "il macellaio del carcere-mattatoio di La Cabana", si opporrà sempre con forza alla proposta di sospendere le fucilazioni dei "criminali di guerra" (in realtà semplici oppositori politici) che pure veniva richiesta da diversi comunisti cubani. Fidel lo ringrazia pubblicamente con calore per la sua opera repressiva, generalizzando ancor più i metodi per cui ai propri nuovi collaboratori.
    Secondo Amnesty International, più di 100.000 cubani sono stati nei campi di lavoro; sono state assassinate da parte del regime circa 17.000 mila persone (accertate), più dei desaparecidos del regime cileno di Pinochet, più o meno equivalente a quelli dei militari argentini. La figura del "Che" ricorda da vicino quella del dottor Mengele, il medico nazista che seviziava i prigionieri col pretesto degli esperimenti scientifici.

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